La Gelmini ha definito il Decreto legge appena approvato una “manutenzione”, non una riforma. Quanto alla dimensione finanziaria dei tagli, le misure prese non si scostano da quelle suggerite dal Quaderno Bianco di Padoa-Schioppa e Fioroni, nella prospettiva del vincolo di pareggio entro il 2011 richiesto all’Italia dall’Unione europea. Basta tutto ciò a spiegare la guerra preventiva dichiarata dai sindacati?
Intanto gira per vari tavoli la bozza di Piano programmatico, elaborato dal Ministero dell’Istruzione, in attuazione dell’art. 64, comma 3, del Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008. Il suo contenuto prevede i tagli, già noti, delle ore, del personale e alcune modifiche ordinamentali previste dai Decreti Moratti, che Fioroni aveva sospeso fino a nuova legislazione. Ma già a luglio i tre segretari generali dei sindacati si erano appellati, in una lettera, direttamente a Berlusconi per dichiarare la loro ostilità totale al Disegno di legge Aprea, che prevede, tra l’altro, l’estromissione delle RSU (le rappresentanze unitarie sindacali) dal governo effettivo delle scuole, l’assunzione diretta degli insegnanti da parte delle autonomie scolastiche, la possibilità che si trasformino in Fondazioni.
Pertanto, sono due le ragioni della dichiarazione di guerra, che potrebbe sfociare in uno sciopero generale della scuola: la difesa degli interessi, reali o presunti, degli iscritti ai sindacati e la conservazione del ruolo “istituzionale” di governo degli apparati sindacali all’interno degli apparati centrali e periferici dell’Amministrazione e all’interno di ogni scuola. E’ evidente che il punto di scontro decisivo riguarda il ruolo di controllo preventivo dei sindacati sui provvedimenti legislativi e amministrativi e di cogestione dei loro effetti sulla scuola reale.
Dalla Legge Casati del 1859 fino ai nostri giorni la scuola è stata governata dall’Amministrazione statale centralistica. Il modello istituzionale è francese, quello ordinamentale è prussiano. Fu una scelta strategica. La borghesia liberale e conservatrice italiana affidò alla potenza burocratica dello stato amministrativo l’unità del Paese, essendo incapace di costruirla con l’egemonia culturale. Un secolo dopo, a partire dagli anni ’70 del Novecento, l’estesa sindacalizzazione del personale, da sempre inquadrato nel pubblico impiego, portò i sindacati a intervenire in modo sempre più invasivo e cogestivo nel sistema educativo nazionale. Ciò accadde non solo per la spinta ideologica proveniente dal ’68, ma anche per il ritrarsi colpevole e progressivo della politica.
Perciò si è formato un solido asse di governo: amministrazione e sindacato. Il primo effetto di questo intreccio è la trasformazione del Ministero dell’istruzione in Ministero del lavoro (intellettuale!). Gli insegnanti si sono proletarizzati, il sistema si è costruito attorno agli interessi degli addetti. L’esperienza dell’ultimo decennio ha confermato che è impossibile fare le riforme necessarie senza spezzare questo assetto di potere, nel quale i governi propongono, ma l’amministrazione e il sindacato dispongono. E’ incominciata una partita mortale.