Nemmeno il tempo di rendersi conto esattamente di ciò che era successo, è già la polemica politica era scoppiata e rimbalzava sui giornali. La tragedia umana di Rivoli, con la scomparsa di un ragazzo di 17 anni sotto le macerie della sua scuola, ha ceduto subito il passo allo scontro su uno dei temi preferiti degli ultimi mesi: i tagli al sistema dell’istruzione. Ma le cause di ciò che è successo non possono naturalmente essere rintracciate negli ultimi provvedimenti, ma in comportamenti pluridecennali che il senatore del Pdl Giuseppe Valditara, già responsabile scuola di An, non esita a definire «dissennati».



Senatore, guardiamo innanzitutto la tragedia di Rivoli: un evento che poteva essere evitato, oppure è stato un episodio non prevedibile?

Bisogna distinguere. Da una parte c’è il discorso particolare relativo al fatto accaduto alla scuola di Rivoli, e da quanto tutti dicono sembra proprio di poter dire che sia un evento legato ad una tragica fatalità. Detto questo, non dobbiamo però nasconderci che il nostro sistema e la qualità delle nostre scuole sia colpevolmente fatiscente: questo è un dato altrettanto vero, che non deve essere trascurato e che deve anzi essere compreso nelle sue cause profonde per essere risolto al più presto.



Da cosa dipende allora la cattiva condizione in cui versa la nostra edilizia scolastica?

Questa situazione discende da logiche politicamente dissennate che da più di trent’anni vengono applicate al mondo della scuola. Le cito solo due dati: noi siamo fra i primissimi al mondo nella spesa per quantità di insegnanti – ed è una cosa nota – ma siamo al contempo fra gli ultimi tra i paesi Ocse per spesa nella qualità della scuola, in particolare per quanto riguarda proprio le infrastrutture scolastiche, che vanno dall’edilizia alle biblioteche, dai laboratori all’arredamento. È un dato molto significativo, che rivela chiaramente come il nostro Paese abbia affrontato in modo demagogico e clientelare i problemi della scuola, concependola come un grande bacino di consenso politico o sindacale. Mentre si faceva questo, si dimenticava di creare le strutture adeguate a garantire l’istruzione e la sicurezza per i nostri figli.



Eppure, subito dopo il fatto di Rivoli, da molte parti si è puntato il dito contro il governo, e in particolare contro i tagli all’istruzione: il problema è nella quantità di risorse, o nel modo con cui vengono gestite?

Su questo c’è un dato oggettivo: dalla fine anni ’60-inizi anni ’70 la maggior parte delle risorse è stata destinata ad assumere docenti, moltiplicando le cattedre, senza peraltro incidere sulla qualità, e trascurando gli investimenti nelle infrastrutture. Non è un caso isolato: la stessa cosa infatti è accaduta con l’università, dove in molti casi l’intero fondo di finanziamento ordinario viene speso in stipendi, e dovrebbe invece servire per pagare anche le ricerche, le biblioteche, i servizi come il riscaldamento e altro. Si fa prevalere il discorso demagogico del sistemare tanti potenziali elettori. Detto questo, avere nell’immediato un aumento dei fondi sarebbe un segnale forte e sicuramente apprezzabile: è anche questa una cosa importante, e che auspico. Però nel medio e lungo periodo gli strumenti devono essere programmati in maniera più complessiva: una distribuzione più efficiente dei fondi, che devono essere destinati alla produttività degli insegnanti e alla qualità delle scuole; e in secondo luogo vorrei che venisse rilanciata l’idea del project financing, su cui personalmente avevo lavorato quando ero assessore all’Istruzione e all’Edilizia scolastica della Provincia di Milano.

Dalla sua esperienza sul territorio che idea si è fatto su quelle che sono le urgenze e le possibili soluzioni in questo settore?

Io mi ero mosso su due aspetti principali: in primo luogo era partito il più grande piano di investimenti nella 626, nella sicurezza e nella ristrutturazione edilizia che mai nessuna provincia italiana avesse fatto (la legge sulla sicurezza è stata di volta in volta prorogata e non è stata mai attuata compiutamente); in secondo luogo avevo fatto fare una ricerca su quello che dovrebbe essere un modello di scuola intelligente, ed erano emerse una serie di indicazioni importanti sulla funzionalità delle strutture. Ma il problema fondamentale è che i finanziamenti statali sono sempre stati molto modesti. Ed era proprio per questo motivo che avevo rilanciato l’idea del project financing: un intervento dei privati che concepiscono la scuola come una serie di servizi offerti alla comunità. Il privato interviene con soldi propri, e poi ha per venti o trent’anni la gestione della scuola stessa (gestione delle mense, riscaldamento, palestre, auditorium per spettacoli etc.). Questo può favorire una serie di investimenti importanti nella scuola, in particolare proprio sull’edilizia. Ed è un’idea che ora vorrei rilanciare.

L’azione sull’edilizia è interamente affidata alle province o su questo il governo può fare qualcosa?

Il governo non può fare praticamente nulla: può solo creare i meccanismi normativi e dare fondi ai capitoli di bilancio dei vari enti locali. Dopodichè decidere quali tipo di scuole ristrutturare, come ristrutturarle, se costruirne di nuove, eventualmente mettendoci anche fondi propri, tutto questo è competenza degli enti locali.