Tagli e blocco del turn over vengono rivisti sulla base dei diversi comportamenti degli atenei: questa la novità principale che emerge dal Consiglio dei ministri di ieri. Un decreto legge regolerà gli aspetti più urgenti sul tema università, mentre per le linee generali verrà seguita la strada del disegno di legge, e della discussione in parlamento. Una prospettiva positiva, secondo Claudia Mancina, sebbene il ricorso al decreto lasci ancora dubbi.



 

Professoressa Mancina, qualcosa sembra essere cambiato nel dibattito sul tema università: si è tornati a un minimo di confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione. Qual è il suo giudizio su questa situazione?

Valuto soprattutto positivamente il fatto che ci sia l’idea di avviare un lavoro ampio, con tempi che consentano la discussione, sia nel parlamento che nel paese. Si è poi iniziato ad affrontare seriamente l’esigenza di introdurre una differenziazione di finanziamento tra i diversi atenei, su cui sono naturalmente molto favorevole; così come sembra positiva l’apertura delle maglie per i ricercatori. Non sono però entusiasta di questo decreto. Intanto, penso che non ci fossero reali motivi di urgenza che motivassero il ricorso alla decretazione. Intervenire nei concorsi già banditi, poi, mi sembra forse perfino illegale, e sicuramente non necessario e non opportuno. Piuttosto, se lo si ritiene proprio necessario, si può discutere una seria riforma dei concorsi, ma per il futuro.



Eppure è arrivata da illustri esponenti del mondo universitario, Giavazzi su tutti, questa proposta di intervenire d’urgenza per bloccare o almeno modificare i concorsi in atto.

La proposta di Giavazzi è secondo me una trovata sorprendente, sia per quanto riguarda l’intervento sui concorsi già banditi, sia per quanto riguarda la questione del sorteggio, che il governo ha deciso di adottare. Pensare di moralizzare i concorsi col sorteggio è a mio avviso una pura follia. Il sorteggio è un’esperienza che l’università italiana ha già fatto, fino ad alcuni decenni fa, ed è stato il periodo peggiore. Non è infatti un elemento di moralizzazione, ma al contrario è un elemento di personalizzazione assoluta, perché chi è sorteggiato non deve rendere conto a nessuno se non a se stesso.



A parte la questione del decreto, per il resto si apre una più ampia e costruttiva discussione sul tema università: quali sono secondo lei gli elementi principali che devono essere presi in considerazione in questo confronto?

La questione fondamentale è come rilanciare la valutazione, utilizzandolo come criterio per la distribuzione del finanziamento. Questo mi sembra sia il dato fondamentale. Anche l’aspetto della moralizzazione dei concorsi è poi un altro dato fondamentale. L’unico modo concreto per moralizzare i concorsi, infatti, è mettere in piedi una struttura in cui chi recluta è responsabile, e in qualche modo viene a pagare le conseguenze se il reclutamento è stato fatto in modo sbagliato, soprattutto se viziato da nepotismi o altre motivazioni del genere. Infine bisogna intervenire sulla proliferazione di sedi universitarie. Certo, non è che il governo possa fare un decreto che abolisca le sedi di troppo; però, in un percorso comune fra governo e università, bisognerebbe trovare il modo per riflettere anche su questo aspetto.

In effetti calibrare i finanziamenti sulla base di criteri valutativi può essere un deterrente nei confronti delle sedi inutili

Io penso che questo sia un elemento fondamentale, perché noi non possiamo di avere un numero di sedi che è il triplo delle province. Con una situazione del genere non possiamo poi sorprenderci se le università non hanno i soldi. Non sottovaluto il fatto che tutti i governi italiani, anche quelli di centrosinistra, non hanno investito sufficientemente nell’università, che è invece uno snodo fondamentale se non vogliamo diventare, come paese, un grande centro servizi; questo, infatti, è il rischio che abbiamo davanti. Se vogliamo rimanere un paese, come volgarmente si dice, di “serie A”, o almeno di “serie B”, dobbiamo avere un’università efficiente, che sforna laureati e ricercatori qualificati. Tutti i governi non hanno investito, e hanno invece avuto la tendenza a ridurre i finanziamenti; però, accanto a questo, io credo che ci sia una responsabilità delle università che hanno pensato soltanto a una rivoluzione senza progetto e senza una selezione qualificata.

Come dare seguito invece alla norma che prevede la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni?

Questo è un tema che di certo non mi scandalizza per niente: è una proposta che è stata fatta anche nell’ambito della sinistra e che ha un suo senso. Non so quanto sia realistica rispetto alla situazione dell’università italiana. Francamente vedrei prima l’urgenza di un progetto statale, fatto in accordo con le università, che sia complessivo per l’ammodernamento e per il rilancio dell’intero sistema. Discutere ora questa norma mi sembra invece un po’un venir meno rispetto a un impegno progettuale e finanziario.