Ancora una volta muro contro muro. Il decreto Gelmini è stato approvato in Senato con modifiche rispetto al testo uscito dal Cdm, anche in accoglimento di alcuni emendamenti dell’opposizione avanzati in commissione Istruzione; ciononostante, il voto negativo in Aula non è stato evitato. Non da tutti, però: Nicola Rossi, senatore Pd e professore ordinario di Economia politica, ha scelto la via che tradizionalmente si segue quando si riscontra qualche segnale positivo (e di dialogo) da parte della maggioranza: l’astensione dal voto.
Senatore, dietro questa scelta c’è dunque un suo giudizio positivo nei confronti delle norme approvate nel decreto Gelmini?
Molte cose di questo decreto non sono in sé risolutive, perché non vanno a costituire una vera e propria riforma, ma sono comunque segnali che rappresentano una novità abbastanza importante. Segnali che all’università italiana non sono stati dati da molto, anzi da troppo tempo. L’idea che nella progressione di carriera conti e debba contare anche sul versante monetario quello che i professori sanno fare dal punto di vista della ricerca è un’idea cruciale per il corretto funzionamento dell’università. Dopodichè, se mi chiede se questa sia la soluzione ideale, io personalmente ritengo che la soluzione non sia mai qualcosa di meccanico.
Quindi il limite è nella presenza ancora una volta di un automatismo?
Meccanismi di questo genere, soprattutto in un ambiente come quello accademico, creano sempre dei problemi. Fino adesso si aveva il meccanismo pure e semplice dell’anzianità, che è un’aberrazione dal punto di vista internazionale: docenti al termine della loro carriera che guadagnavano molto di più di brillantissimi ricercatori nel pieno della loro maturità scientifica. Ora io non vorrei che nuove regole fisse producessero altre aberrazioni. Detto questo, però, francamente rispetto alla pura e semplice anzianità mi pare che si sia fatto un notevole passo avanti.
Le novità in fatto di differenziazione non riguardano solo i docenti, ma anche gli atenei, con sanzioni a chi ha i conti in rosso. È una giusta risposta alla critica sui tagli indifferenziati?
Sotto questo profilo la risposta più interessante viene proprio da chi si è opposto a queste misure; la critica che viene mossa, infatti, può essere l’indice di quanto questa misura sia giusta. Mi spiego. Alcuni dicono: «prendete la soglia di sbarramento del 90%, limite oltre il quale non ci deve essere spesa per il personale, coniugatela con i tagli di spesa programmati, e troverete immediatamente che ad essere puniti sono non i pochi atenei non virtuosi, ma la maggior parte degli atenei». Ecco, io considero che questa eventualità sia esattamente ciò che il legislatore vuole. Noi abbiamo bisogno di alcuni atenei di eccellenza, ai quali dobbiamo dare tutte le risorse di cui possiamo disporre, e in un paese come l’Italia che conta 60 milioni di abitanti dubito che ci possano essere più di sei o sette, dieci al massimo, atenei di eccellenza, in grado di competere alla pari con le grandi eccellenze a livello internazionale. Se su questi atenei noi convogliamo le risorse di cui disponiamo, allora il risultato sarà molto positivo, perché avremo favorito una differenziazione del sistema universitario di cui abbiamo estremamente bisogno. E vorrei sottolineare una cosa in più: nessuno deve a questo punto preoccuparsi del fatto che ci saranno università di seria A e B, perché in un sistema universitario che voglia premiare il merito questa è una cosa semplicemente necessario.
Proviamo allora a fare un bilancio: dopo mesi di proteste e di tensioni si sta imboccando la strada giusta per rilanciare l’università?
Io penso che lo stato cui sono giunte le università italiane sia tale da richiedere interventi molto più incisivi di quelli che ora abbiamo sotto gli occhi; però ci sono occasioni nelle quali è bene sapersi accontentare di segnali che rappresentano un’inversione di tendenza. Io, in tutta franchezza, non posso non vederli: non solo per quanto detto finora su docenti e atenei, ma anche sul versante degli stanziamenti per le borse di studio, che è cosa fin troppo necessaria per l’università italiana. Sono segnali su cui costruire qualcosa, e io mi auguro che lo si possa fare con il contributo di tutti.
Cosa direbbe agli studenti dell’Onda, che ancora proseguono nelle manifestazioni di protesta, anche in modo vivace, come accaduto all’inaugurazione alla Sapienza?
Non sempre e non su tutte le materie gli studenti valutano attentamente i motivi per cui protestano. Come ho già avuto modo di dire, gli studenti, prima di protestare per i tagli, dovrebbero domandarsi come vengono spesi i soldi da parte delle università. Perché è legittimo protestare conto i tagli se si spende bene fino all’ultimo euro, altrimenti è una posizione un po’ meno credibile. Le novità sul diritto allo studio, poi, sono importanti, ma sono novità che gli studenti non possono capire ex ante; ma nel momento in cui incominciamo ad avere un sistema in cui si pagano le tasse e si hanno le borse di studio, allora gli studenti capirebbero che mettiamo in atto il dettato costituzionale che tutela i più deboli.