L’interessante intervento di Giovanni Cominelli pubblicato su ilsussidiario.net il 9 dicembre scorso contiene tre proposte in ordine alla condizione della scuola paritaria nel nostro Paese. Penso che sia solo la prima delle sue proposte ad avere possibilità di attuazione:  occorre chiaramente trovare le modalità per completare la Legge 62/2000 che ha avuto il merito di riconoscere la scuola paritaria nella sua funzione pubblica e quindi nel suo appartenere a pieno titolo al sistema nazionale di istruzione. Purtroppo è venuto meno il coraggio di completare il percorso riconoscendo anche il diritto al sostegno economico delle famiglie che la scelgono o che la vorrebbero scegliere.



Nel nostro Paese esiste una richiesta precisa che viene da quanti intendono esercitare il loro diritto di scegliere, per la propria istruzione e per quella dei loro figli, una scuola non statale paritaria. La richiesta di una “parità autentica” – cioè di pari dignità e di equipollenza economica – è una questione che toccando la scuola fa riferimento al fondamento stesso della società: la famiglia. E’ questione di giustizia sociale e di rispetto dei diritti di ognuno e di tutti.



La Legge 10 marzo 2000, n° 62, ha istituito un sistema nazionale integrato di istruzione e di formazione che colloca, accanto alle scuole statali, quelle non statali paritarie, con una sostanziale identità di funzione e di ruolo nel perseguimento di fondamentali obiettivi di rilevanza costituzionale. E’ stata così apprestata una varietà di strutture scolastiche che consentono, in armonia con i principi del pluralismo e della sussidiarietà, diversi modi di godere di un diritto sociale quale quello dell’istruzione e della formazione, giustificando l’attesa delle scuole paritarie a che vengano – con modalità applicative sostanziali – forniti loro – o alla loro utenza – mezzi finanziari coerenti con la funzione e il servizio ad esse affidato, espressamente definito come “pubblico” dall’art. 1 comma 3 della stessa Legge 62/2000.



Prendendo anche come riferimento la sentenza della Corte Costituzionale n° 454 del 1994, nella quale è stato ribadito che l’obbligo scolastico può essere adempiuto in modi diversi dalla frequenza delle scuole pubbliche statali, e che sarebbe ingiustificatamente discriminatoria l’esclusione, di chi assolva in uno dei modi diversi da tale tipo di frequenza, da provvidenze destinate non alle scuole bensì agli alunni, va considerata l’introduzione – come strumento di finanziamento della libera scelta scolastica da parte delle famiglie – della deduzione d’imposta (o detrazione d’imposta o credito d’imposta che si voglia).

Questa modalità di sostegno economico – estranea all’area pretestuosamente interdittiva dell’art. 33 – si pone a favore degli alunni e delle famiglie, in quanto diretta ad assicurare il diritto allo studio dell’alunno/studente e il diritto-dovere di esercitare la funzione educativa affidata ai genitori dall’art. 30 della Costituzione. Essa, di fatto, rappresenta un rimborso per servizi effettivamente non utilizzati dalle famiglie e pertanto non costituisce un onere per lo Stato. Partendo da una esigenza di “equità”, pertanto, la deduzione d’imposta è forma di agevolazione fiscale snella e facilmente praticabile e risponde ad una esigenza fondamentale: quella di assicurare anche alle famiglie meno abbienti l’accesso alla scuola pubblica “paritaria”.

Ne consegue che in forza delle previsioni generali espresse nel Testo Unico delle Imposte sui redditi, e per prassi legislativa ed affermazioni dottrinali consolidate, la “deduzione” comporta un beneficio coincidente ad una minore imposta da versare, beneficio originato (e giustificato) da costi sostenuti dal contribuente. La deduzione d’imposta, dunque, non incide sulla base imponibile – a differenza degli oneri deducibili (cioè defiscalizzazione: detrazione dal reddito su cui viene calcolata l’imposta) – bensì ed unicamente sul tributo dovuto. In questo senso la “deduzione” favorisce direttamente il contribuente ed appare pertanto come la modalità più semplice e maggiormente adatta per la gestione di interventi socialmente mirati.

Si tratta di un percorso, oggi più facilmente percorribile, che – in attesa di soluzioni a proposte più avveniristiche – mette in gioco la stessa concretezza formativa del sistema nazionale di istruzione e il rapporto tra lo Stato, la cultura e i suoi cittadini. Si tratta di un aspetto che la “politica” deve assumere come modalità di riflessione e di attuazione, nella consapevolezza che solo attraverso l’educazione si costruisce la società, e pertanto diviene oltremodo oltraggioso mantenere un monolitico sistema scolastico, mortificando quanti – con capacità, dedizione, autorevolezza – si pongono al servizio della comunità nell’espletamento di un compito di grande valore e importanza.