«Dalle comparazioni internazionali non emerge un quadro positivo della scuola italiana. Anche le scuole che nelle indagini Ocse-PISA hanno ottenuto i risultati migliori si collocano comunque nella media dei paesi migliori». Ma questo, secondo Andrea Ichino, docente di Economia Politica all’Università di Bologna e tra gli estensori del documento sulla valutazione preparato per l’Invalsi, non può essere l’unico motivo che ci spinge ad accelerare per valutare il nostro sistema. «Anche a prescindere da questi risultati – spiega Ichino – rimane il fatto che siamo l’unico paese che non ha un sistema standardizzato di valutazione della scuola. Quand’anche le cose andassero bene, rimarrebbe comunque aperta la questione del motivo per cui non dovremmo avere un sistema che ci permetta di fare ancora meglio.
Qual è allora il primo livello su cui intervenire per porre le basi di un sistema di valutazione?
La nostra proposta prende innanzitutto le mosse dal fatto che in Italia non esiste un modo per confrontare le valutazioni che vengono date nelle diverse scuole. Un 90 preso alla maturità in una determinata scuola non è comparabile con un 90 preso in un altro istituto in altra collocazione geografica. Questo è un grande limite, perché non consente di fare alcun tipo di valutazione, in primo luogo per le famiglie, che devono decidere dove mandare i propri figli; poi per gli studenti stessi; infine per le università, che devono poi selezionare chi esce dalle scuole superiori.
Come si attua il processo valutativo?
La valutazione è un processo non da introdurre semplicisticamente e in maniera affrettata, ma un lungo procedimento che deve essere attentamente sperimentato e valutato nei dettagli, prima che venga portato a regime. Questo è il motivo per cui nel nostro documento insistiamo molto sul tempo necessario per attuare questo processo. Ciò detto, i passi che noi proponiamo sono: partire subito con le valutazioni standardizzate per gli studenti; partire subito anche con la costituzione di un anagrafe scolastica di tutti gli studenti e gli insegnanti (cosa che in Italia manca, e non si capisce il perché); poi, arrivare pian piano a sperimentare e costruire un sistema che abbia l’obiettivo di aiutare gli insegnanti a capire dove ci sono cose da correggere e migliorare.
Valutare i docenti sembra effettivamente l’aspetto più delicato. Il ministro Berlinguer ci provò, e fu travolto dall’opposizione dei sindacati. È una strada così difficile da attuare?
Non penso che i docenti si vogliano opporre globalmente alla valutazione; io credo anzi che nel mondo della scuola e degli insegnanti ci sia un’enorme domanda di valutazione e di riconoscimento. Abbiamo presentato questo lavoro in alcuni contesti in cui è emerso che esistono tanti insegnanti insoddisfatti del sistema attuale. Anche perché è chiaro a tutti che anche il sistema attuale valuta, implicitamente: garantendo scatti solo per anzianità e uguali per tutti, di fatto premia i peggiori. Quindi mi pare di poter dire che ci sia una forte domanda di valutazione improntata su principi diversi. Il problema è far emergere questo tipo di richiesta. Dopo di che, bisogna anche discutere con il sindacato. Non credo che il sindacato sia per principio attaccato alla valutazione basata solo sull’anzianità. Il metodo giusto da seguire sarà quello di sperimentare insieme con cautela, sapendo bene che i sistemi di valutazione sono molto pericolosi se usati male. Non bisogna forse commettere l’errore fatto, o a cui è stato forzato, il ministro Berlinguer, e cioè di fare tutto un po’ rapidamente, partendo subito in quarta con una proposta senza prima sperimentarla.
Come fare allora per introdurre correttamente un sistema di valutazione anche per i docenti?
Innanzitutto tener conto del fatto che un sistema di valutazione se vuol funzionare bene non può essere fatto sul passato. Deve essere un sistema in cui si dichiarano i criteri con cui, dal quel momento in poi, i docenti saranno valutati, dando il tempo necessario per mettere in atto gli strumenti necessari per ottenere una buona valutazione. Non si può dire improvvisamente: ora vi valutiamo su ciò che avete fatto negli ultimi cinque anni. I docenti devono essere prima ben informati su ciò su cui saranno valutati, e dovranno concordare che quella sia una valutazione ragionevole. Dopo di che si può procedere.
Quali possono essere concretamente le conseguenze pratiche, in termini di efficienza, di un sistema di valutazione funzionante?
La nostra proposta si caratterizza per un tentativo, da sperimentare nel concreto, di valutare non i livelli, ma il valore aggiunto. È chiaro che in una scuola di periferia con problemi di integrazione sociale e di background famigliare, i risultati all’uscita non possano essere uguali a quelli di un liceo del centro, con i ragazzi che hanno tutti gli aiuti famigliari possibili. Il nostro sistema di valutazione andrebbe dunque a dare rilievo a tutte queste realtà, che solitamente vengono in qualche modo dimenticate. Ed è soprattutto in questi contesti che possono essere utili i sistemi di valutazione per capire quali sono gli strumenti più efficaci per ottenere il risultato che vogliamo, vale a dire il miglioramento. D’altronde per valutare il prodotto degli insegnanti è difficile pensare a una valutazione diversa da quella dell’apprendimento degli studenti. Quindi la prima conseguenza concreta è proprio quella di capire quali sono gli strumenti da utilizzare per ottenere un miglior apprendimento da parte dei ragazzi.
Altre conseguenze a livello di sistema?
Le altre conseguenze sono più di natura politica, e riguardano l’allocazione dei fondi. Da questo punto di vista si ha spesso l’idea preconcetta che la valutazione debba solo servire per premiare e dare più risorse a chi ha fatto meglio. Questo è sicuramente vero per la funzione premiante e incentivante: una volta che la decisione politica è ottenere certi risultati riguardo al livello di apprendimento è giusto dare incentivi alle persone per andare in quella direzione. Ma poi c’è anche un uso diverso: se io vedo che in una certa realtà le cose non funzionano, magari è proprio in quella realtà che andrò a concentrare maggiori risorse. Dove ci sono difficoltà maggiori, lì posso decidere di intervenire: questa è una decisione importante, da prendere a livello di sistema. E per capire questo devo per forza valutare. Ma valutare non significa che chi va male necessariamente chiuderà. Una cosa importante che citiamo nel rapporto è il fatto che il sistema inglese ha molte scuole che in un dato anno sono classificate come le migliori nella classe A, mentre in anni precedenti erano addirittura nell’ultima classe. Sarebbe dunque sbagliato se l’opinione pubblica e gli insegnanti pensassero a un sistema – mi si permetta il paragone – come quello del campionato di calcio italiano, in cui in cima ci sono sempre le stesse squadre. Il paragone giusto sarebbe l’Nba americana, in cui abbiamo una rotazione enorme di squadre alla testa della classifica. E questo può avvenire solo in un sistema in cui contano gli incentivi.