Puntare tutto sui programmi, discostandosi il più possibile dall’impianto della legge Moratti; rivedere il sistema scolastico generale, lasciando in secondo piano per ora l’autonomia e il ruolo delle Regioni. Questa l’opinione di Giorgio Israel, docente di Matematica alla Sapienza di Roma, e collaboratore del ministero dell’Istruzione, per cui lavora a un Tavolo per ridefinire i profili di formazione degli insegnanti.
Professor Israel, dunque secondo lei la Gelmini ha fatto bene a discostarsi dall’impianto generale della riforma Moratti: perché?
Il problema che io vorrei porre al centro – di cui solitamente nessuno parla – è quello dei contenuti, cioè dei programmi. Bisogna chiedersi quali implicazioni avrebbe, proprio dal punto di vista dei programmi, l’attuazione della riforma Moratti. In effetti è vero che i regolamenti della Gelmini, implicando tagli orari molto forti, hanno portato sotto certi aspetti a uno stravolgimento dell’impianto presente nella legge Moratti. Ma personalmente ritengo che tali cambiamenti di direzione siano del tutto salutari, e anzi in alcuni casi insufficienti. Quindi la pausa di riflessione di un anno può servire proprio per approfondire certi elementi che finora sono stati solo abbozzati.
E cosa ci sarebbe di positivo secondo lei in queste modifiche?
Una cosa molto importante è che siano state eliminate materie come l’educazione all’affettività, l’educazione stradale o l’educazione alla cittadinanza. Quest’ultimo aspetto, in particolare, mi pare che coincidesse con l’educazione alla cittadinanza del governo Zapatero. E non si può essere schizofrenici: condannare per statolatria Zapatero, e poi non rendersi conto di quello che succede qui da noi. Poi ho visto che la Commissione Cultura della Camera ha emanato una raccomandazione relativa all’implementazione dell’educazione all’affettività nella scuola primaria, e questa è una cosa che mi preoccupa moltissimo. Su questo bisogna vigilare; e da questo punto di vista i tecnici del ministero hanno secondo me lavorato bene. Sono infatti stati limati e migliorati molti aspetti critici dei programmi che derivavano dalla legge Moratti.
Veniamo alle critiche: c’è qualcosa che non condivide dei regolamenti della Gelmini?
Come già accennavo, la nuova impostazione dei programmi deve imporre una riflessione più profonda di quella fatta fino ad ora; ecco perché sono contento che il tutto sia stato rinviato. L’impostazione dei programmi che emergevano dalla riforma Moratti tendeva alla scuola olistica, a livellare il più possibile la dimensione disciplinare: questa è una cosa pessima che potrebbe portare alla catastrofe della scuola superiore italiana. Quindi, rispetto ai regolamenti della legge Moratti, bisogna fare delle modifiche ancor più sostanziali, introducendo una maggiore distinzione disciplinare e lasciando perdere tutto il ciarpame ideologico relativo alla scolastica delle competenze.
Lasciamo da parte un attimo il confronto con la Moratti; ci sono altri elementi che non la convincono nei provvedimenti della Gelmini?
Sono preoccupato dall’introduzione del liceo delle scienze umane. In realtà sappiamo che questo liceo non è altro che una riproposizione delle magistrali: però allora bisognerebbe dirlo esplicitamente, e chiamarlo liceo pedagogico. Le scienze umane si sa cosa sono: sono la storia, l’antropologia, la sociologia e così via. La struttura dei programmi di questo liceo è una cosa aberrante: ci sono spezzoni di scienze umane inserite nel tessuto delle scienze pedagogiche. Ecco: il dibattito culturale da aprire è proprio su questione come questa. E poi bisogna evitare che venga introdotta nei tecnici una materia come “scienze integrate”. I tecnici hanno una grande tradizione dovuta al fatto di aver sempre avuto insegnanti con formazioni distinte, dove ciascuno insegnava la materia specifica su cui si era laureato. Introdurre una materia unificata porterebbe alla perdita di questo, riproponendo lo stesso errore delle medie, dove chi è laureato in chimica può insegnare matematica.
Giuste queste preoccupazioni; però ci sono altri elementi di critica sostanziale all’impianto generale dei provvedimenti della Gelmini. Pare che ci sia un ritorno a una visione statalista, per cui tutto viene deciso dal centro. Cosa ne dice?
Secondo me è giusto guardare al sistema complessivo. Io sono anche favorevole allo sviluppo delle autonomie; ma al momento dobbiamo ragionare sul fatto che abbiamo una struttura grandiosa che è la scuola pubblica, e che tale rimarrà per lungo tempo. Abbiamo una scuola in condizione critica, e quando ci si ritrova in questa situazione non si risolvono i problemi con una spinta drastica verso l’autonomia. Bisogna in primo luogo cercare di “imbullonare” il sistema, di farlo funzionare, come è stato fatto nella scuola primaria, con provvedimenti di carattere generale. Pur se hanno sapore un po’ centralistico, questi provvedimenti servono a creare le condizioni perché il sistema risanato possa poi procedere ad altri sviluppi. Ma alla medicina dell’autonomia in quanto tale non credo molto. E non riesco a vedere nelle proposte di legge che sono state fatte in merito qualcosa di convincente. Per esempio: veramente pensiamo che il reclutamento di istituto possa portare a un miglioramento delle scuole?
Effettivamente non sono in pochi a pensare che questo possa portare a un reale miglioramento…
Io non credo: per me è una pazzia. In futuro, in una realtà veramente cambiata, si potrebbe anche arrivare a questo. Ma se ora avessimo un’assunzione diretta da parte dell’istituto significherebbe in alcune parti d’Italia consegnare la scuola alla malavita organizzata, aprendole un nuovo terreno di attività. Non possiamo delegare a un piccolo preside della Calabria il fatto del reclutamento. Allo stesso modo sono un po’scettico sul fatto della regionalizzaione, perché non credo molto nella virtù del “locale”. Noi dobbiamo formare la preparazione di base e questa deve avere un carattere di omogeneità. L’idea dell’aggancio al territorio, della funzionalizzazione di un istituto tecnico alle esigenze produttive del territorio secondo me è sbagliato. E poi dov’è che funziona un modello del genere? Ci sono paesi dove questo avviene e funziona? A questo si aggiunga poi il fatto che noi abbiamo una struttura produttiva altamente frammentaria, con moltissime industrie piccole, e quindi a basso livello tecnologico. L’aggancio al territorio non porta a uno sviluppo di qualità. Bisogna pensare al sistema in generale. E secondo me, come ho detto all’inizio, il punto essenziale è quello di puntare tutto sui programmi. Il resto viene di conseguenza.