Il referendum giornaliero on line del Corriere della Sera proponeva sabato scorso ai propri lettori una domanda relativa alla restituzione alle scuole paritarie dei 120 mln. di Euro stornati improvvidamente dalla Finanziaria: «È giusto che il governo ci ripensi?». Il 23,3% ha risposto SI, il 76,7% ha risposto NO. Tutta la grande stampa e vari programmi TV hanno reagito con laico sdegno al ripensamento del governo. Nell’occasione è risorto persino Giorgio La Malfa. Non saremo noi ad indignarci dell’indignazione. Seguiremo il saggio consiglio di Baruch Spinoza: «nec ridére nec lugére, sed intellìgere!» Dunque, occorre «leggere dentro la realtà» i seguenti dati: la grande maggioranza degli italiani, compresi molti elettori di centro-destra, è convinta che l’unica scuola legittima sia quella dello Stato; che la libertà di scegliere la scuola per i figli sia un lusso privato, che si deve pagare privatamente; che la scuola privata sia per lo più una faccenda “cattolica”. Se questi dati non saranno modificati, ogni anno si dovrà ripartire con la campagna di mendicanza per i soldi alle paritarie. Del resto i 120 mln. di euro coprono solo il 2009! Al 2011 è previsto dal Piano triennale un calo dai 534 mln. di Euro a 306 mln. Che fare, dunque? Si possono seguire almeno tre strade, in sequenza o in parallelo.



La prima: rivedere i criteri di finanziamento della legge n.62 del 10 marzo 2000. Al momento sono finanziate “a piè di lista” le istituzioni scolastiche statali. Sono “soldi di Stato”. A quelle paritarie vengono dati solo dei “contributi”: sono “soldi di governo”. Poiché sembra esistere in Parlamento un discreto numero di deputati di ambedue gli schieramenti favorevoli alla libertà di educazione e poiché un nutrito gruppo di deputati afferisce all’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà non pare impossibile l’impresa di una revisione legislativa in tempi brevissimi.



La seconda: è possibile una soluzione legislativa più radicale, che passi dal finanziamento delle istituzioni scolastiche a quello delle famiglie. Il principio è molto semplice: ogni cittadino italiano, dai 2 fino ai 18 anni ha diritto a un finanziamento annuale per la sua istruzione. La famiglia sceglie l’istituto, quale ne sia la proprietà: statale o privata. Lo Stato fornisce alla famiglia informazioni accurate e valutazioni rigorose sulla qualità dell’offerta formativa degli istituti scolastici. Questa soluzione è la più coerente con il dettato costituzionale: l’istruzione è un inalienabile diritto della persona e del cittadino. I soldi devono seguire ogni ragazzo. Accade anche ora, ma solo se il ragazzo si presenti ad una scuola statale. Qui si tocca il nocciolo della questione politica e culturale: la vicenda delle scuole paritarie non si deve inscrivere sotto il capitolo dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa e tra la Chiesa italiana e il governo di turno, ma sotto quello dei rapporti tra i cittadini e lo Stato. Non è una faccenda confessionale, è una questione di esercizio delle libertà fondamentali dei cittadini. Nel pensiero e nella prassi politica dei cattolici si sono da sempre intrecciate due linee culturali: rassegnarsi culturalmente all’onnipervasività dello Stato e negoziare politicamente delle protezioni per delle piccole enclaves confessionali; oppure contestare culturalmente e, ove possibile, politicamente la torsione statalistica dei diritti fondamentali, facendo una battaglia laica per tutti, per liberare non solo i cattolici, ma i cittadini dall’oppressione dello Stato amministrativo. Giacché nel pensiero laico italico lo “Stato di diritto” non è lo Stato liberale che protegge i diritti naturali delle persone, ma è lo Stato hobbesiano-hegeliano che li produce. È uno stato omnipervasivo e tendenzialmente totalitario.



Non si può escludere una terza strada: che le scuole paritarie escano dal sistema statale, avaro e ingrato, per combattere il proprio struggle for life nella società e nello Stato. Nella società, per raccogliere i fondi necessari per sostenere l’apertura ai ragazzi di ogni ceto sociale, compresi i meritevoli e privi di mezzi. Nello Stato, per offrire alle famiglie un’educazione migliore di quanto il sistema statale sia ormai in grado di offrire, nonostante l’enorme spreco di risorse umane e finanziarie.