Nelle scuole italiane in questi giorni si svolgono i corsi di recupero per gli studenti che nella valutazione del primo quadrimestre hanno registrato l’insufficienza in una o più materie.
A renderli obbligatori è il Decreto sul recupero dei debiti varato in autunno dal Ministro Fioroni. Da quest’anno i debiti vanno saldati entro l’inizio dell’anno scolastico successivo, pena la bocciatura, e nel 2009 l’aver colmato tutti i debiti sarà la condizione necessaria per essere ammessi all’esame conclusivo della scuola superiore. Fioroni ha voluto porre fine a un sistema che consentiva a tre studenti su quattro (dei 760.000 – circa il 40% del totale – promossi nonostante una o più insufficienze!) di trascinare i debiti formativi senza mai saldarli.
E il suo intervento è stato perentorio: nessuna dilazione per l’applicazione del decreto. Così le singole scuole, in virtù dell’autonomia, hanno dovuto predisporre interventi di recupero e prevedere modalità e tempi per la verifica del superamento del debito. Con non poche difficoltà organizzative e numerose perplessità sull’applicazione del decreto. Intanto i fondi per il compenso dei docenti (interni ed esterni alla scuola) chiamati a svolgere i corsi sono scarsi. È esiguo il numero di ore di corso previste per ciascuna disciplina.
E ancora: non è chiara la modalità con cui debba avvenire la bocciatura, sulla cui automaticità è in corso la discussione, anche perché l’automatismo entra in conflitto con le norme precedenti. In base al Decreto, la bocciatura è automatica se l’esito non è positivo. Ma è evidente il rischio che le valutazioni, quelle di giugno o quelle di settembre, possano essere aggiustate. In altre parole: il debito potrebbe essere cancellato, ma solo sulla carta. Oppure: potrebbero aumentare esponenzialmente le bocciature. Cioè, la dispersione.
La difficoltà maggiore, tuttavia, concerne gli aspetti educativi e culturali cui rimanda il contenuto del documento, fatta salva l’ovvia constatazione che del sistema attuale debiti/crediti nessuno è soddisfatto. Bisogna chiedersi infatti se a una scuola che intende promuovere la persona, specie nella fascia dell’obbligo, sia attinente una modalità di valutazione che rischia di penalizzare l’alunno magari in una sola disciplina fra le tante che sono state proposte.
In altri termini, una scuola che intende sviluppare le competenze degli alunni deve prendere atto che la maggior parte dei debiti dipende in larga (o larghissima) misura da un disinteresse dello studente non tanto per una specifica materia quanto per la scuola, cioè per l’insieme del corso di studi.
Qui emerge il problema posto dalla personalizzazione dei percorsi e cioè delle condizioni sulla base delle quali è possibile costringere un giovane ad affrontare determinati compiti di apprendimento in condizioni “artificiali” avendo risultati positivi. In altre parole ancora, del rapporto tra condizione scolastica e condizione non scolastica, del rapporto alunno-docente e delle condizioni di effettiva libertà di educazione esistenti nella scuola.
Infine un ultimo rilievo. Come ha scritto recentemente Luigi Illiano su Il Sole 24 ore «ancora una volta, a fronte di risultati scadenti…si reagisce con un provvedimento che pone sotto la lente solo gli studenti: senza mettere in discussione il sistema di istruzione. Dai modelli didattici alla qualità dei professori, si prosegue sulla strada dell’autoreferenzialità che continua a non accettare alcun sistema di valutazione».