A quali condizioni in Italia, dopo le elezioni, sarà possibile dedicarsi di buona lena a risollevare le sorti della scuola, castigata dalle rilevazioni Ocse-Pisa sugli scarsi livelli di competenze linguistiche, matematiche e scientifiche dei quindicenni, nonché messa costantemente alla berlina sui mezzi di informazione a causa degli atteggiamenti non particolarmente ortodossi di taluni insegnanti che in modo subdolo vengono fatti assurgere a simbolo dell’intera categoria docente? Esistono già oggi le premesse? La campagna elettorale sta contribuendo a chiarire le posizioni e le future possibili alleanze?
A giudizio di Angelo Panebianco le possibilità sono davvero scarse. Alla nostra classe politica, ha spiegato recentemente l’illustre opinionista, la scuola non interessa perché non interessa ai suoi elettori. Difficilmente, perciò, sarà disposta a pagare l’alto prezzo politico rappresentato da occupazioni studentesche, oltre che da scioperi e rimostranze varie del corpo docente, per attuare la dolorosa cura ricostituente di cui ci sarebbe bisogno per ridare credibilità al sistema di istruzione. Tanto varrebbe, ha concluso, dedicarsi alla realizzazione di “scuole private di qualità”.
Pur ritenendo che una simile conclusione non sia affatto da scartare, riteniamo che la crescita della scuola non statale nel nostro Paese ponga essa stessa un problema politico generale e cioè non sia attuabile fino in fondo se non esiste la volontà politica di aiutarla a crescere per rendere competitivo l’intero assetto della istruzione.
La scuola non statale certo non nasce e non si sviluppa per iniziativa dello Stato, ma è sicuro che possa indebolirsi fino a scomparire (e in taluni casi in Italia siamo all’emergenza) se prevalgono politiche centralistiche nemiche della libertà di educazione.
Si torna dunque al problema iniziale: come si può uscire dal circolo vizioso di una scuola (statale) che riproduce le proprie contraddizioni perché non è aiutata ad uscire dal limite della autoreferenzialità? In questi ultimi tempi la scuola è stata osservata da diversi punti di vista ad essa esterni e, pur nella parziale indifferenza degli schieramenti politici che non l’hanno collocata in cima alle loro priorità, si può dire che una opinione pubblica orientata a rivalutarne il ruolo cominci ad esistere. Questo dato rappresenta un fatto nuovo. Da capire, però e da spiegare.
Otto personalità che compongono quello che si chiamava ai tempi del dicastero Moratti il “Gruppo del buon senso” sono uscite con un appello che ha raccolto altre 50 firme di docenti, intellettuali, personalità del riformismo nostrano. Il tema dell’appello è quello della costruzione di un contesto bipartisan come condizione per l’attuazione di alcuni obiettivi condivisi (“chiediamo a tutte le forze politiche.di trovare un’intesa sulle priorità superando la logica del muro contro muro”). In questo caso la realizzazione di alcune scadenze ritenute improrogabili (autonomia, parità, didattica delle competenze, carriera dei docenti, ecc.) ha come premessa l’attuazione del quadro bipartisan, di cui i promotori del documento sono in qualche modo anticipatori.
Di altro genere, seppure convergente con quest’ultimo, è l’appello del “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità”, costituito da docenti universitari. La preoccupazione dei firmatari in questo caso non è anzitutto quella delle coordinate bipartisan da assicurare prima di garantirsi determinati obiettivi, quanto di fare lobby (in senso buono: pressione) attorno al binomio merito/ricompensa (“offrire ai nostri ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento.restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo, intervenendo però con tempestività e rigore nei casi di palese negligenza o inadeguatezza”). Ad essere sintetici e sbrigativi si può dire che il primo appello nasce da una alleanza tra soggetti; il secondo tende a costituire un nuova coscienza critica (il partito del merito e della responsabilità). Come che sia, se son fiori fioriranno: e intanto il ministro Fioroni incassa un elogio seppure timido dal Gruppo di Firenze.
A noi, che come insegnanti siamo impegnati attraverso l’associazione a sostenere e ad innovare la professione docente, preme dire che ogni eventuale (e non disprezzabile) virata sulle politiche del merito deve essere accompagnata da una chiarezza sul metodo. E l’unico che conosciamo, perché ci caratterizza e impegna da anni in esperienze già realizzate, si chiama libertà di educazione. Puntare sul merito significa mettere di più la scuola in mano a chi già la fa come rischio di un incontro personale con le domande degli alunni e delle loro famiglie. Non partire sempre dal nulla è la vera riforma di cui c’è bisogno, per ridare slancio a quei tanti che quel rischio consapevolmente affrontano.