Bisognerebbe avere il coraggio di andare in fondo nella decisione che nella scuola si diventa di ruolo solo passando attraverso le scuole di specializzazione: si è deciso di dare vita a queste scuole per la formazione degli insegnanti, e permettere l’immissione in ruolo senza frequentarle significa togliere delle possibilità a chi le frequenta. Non bisogna assolutamente andare avanti sulla strada dell’immissione automatica dei precari. Purtroppo, non mi sembra che esista né da una parte né dall’altra la chiara volontà di chiudere con questa modalità di reclutamento degli insegnanti. Mi pare che questa tendenza possa perpetuarsi, con tutti i cattivi effetti che questo produce.
Certamente per non pestare i piedi ai sindacati, e per la mancanza di coraggio nel porre il problema della carriera degli insegnanti. Le assunzioni vengono predisposte senza aver prima deciso un sistema di avanzamento in carriera, che almeno implicherebbe sbarramenti e controlli: non c’è nessuno che voglia realmente avviare questo percorso. Il motivo, ribadisco, è che pestare i piedi ai sindacati è cosa che non si può fare.
Andrebbe strutturata facendo un’operazione verità sulla preparazione degli insegnanti: un grande controllo generale che porti alla definizione di alcune fasce. Una fascia di eccellenza alla quale secondo me dovrebbero essere affidate le scuole: se c’è un’élite di insegnanti (e c’è), questa élite dovrebbe avere il controllo della scuola; il preside andrebbe scelto all’interno di questa categoria, e questi insegnanti che stanno al vertice dovrebbero avere il controllo sugli altri. Se si facesse uno screening, infatti, verrebbe fuori che esiste una parte di insegnanti di valore, e che lavora bene; poi una parte di mediocri; e una parte che sta in fondo, e che potrebbe essere indirizzata verso altre brillanti carriere altrove. Si tratterebbe di divedere in serie A, B e C: quelli di serie C bisognerebbe avviarli, con tutti gli ammortizzatori del caso, al di fuori della scuola; nella serie A ci sarebbero gli insegnanti a cui affidare la gestione delle scuole; e si definirebbe una serie B, caratterizzata da differenze di stipendio fortissime. Quello che conta davvero, e che spinge la gente a dare il meglio di sé, è che gli avanzamenti di carriera implichino veri salti di qualità dal punto di vista del reddito, perché altrimenti non c’è nessun vero incentivo. La fascia della serie A, a mio avviso, dovrebbe guadagnare il doppio rispetto alla fascia della serie B. Il passaggio da una fascia all’altra andrebbe deciso sulla base di concorsi ed esami e con il ristabilimento, in questo delicato passaggio, di un controllo centrale. Dovrebbe essere importantissima la valutazione “ex post” dell’insegnante, alla fine del ciclo, da parte degli studenti o delle famiglie, a seconda del grado della scuola. Non dovrebbe certo essere l’unico elemento, ma uno degli elementi che pesa. Perché la verità, come sa chiunque ha avuto dei figli a scuola, è che si sa bene quali sono gli insegnanti bravi e quali sono gli insegnanti non bravi: tutti lo sanno, è cosa di dominio pubblico. Quindi si delinea la mappa degli insegnanti bravi, mediocri e scadenti. Si tratterebbe quindi di creare un sistema di filtri, nel quale la valutazione degli insegnanti pesi: se uno ha avuto per cinque anni di fila una valutazione ottima da parte dei genitori e se c’è poi un controllo, un esame che verifichi la sua preparazione, queste due cose insieme dovrebbero garantire il suo passaggio al livello superiore. Competenza, valutata con esame; e capacità didattiche, valutate da famiglie e studenti.
A me pare che il buono scuola sia un modo razionale e che garantisce libertà alle famiglie nella scelta della scuola. Una delle cose interessanti dell’Italia è che la parola pubblico è sinonimo di statale; le public schools inglesi, invece, sono private. C’è un concetto di pubblico che è più ampio, che si estende a chiunque svolga un funzione pubblica, anche se è un ente privato. Da noi pubblico vuol dire statale; finché, dal punto di vista culturale e ideologico, l’investimento sarà fatto tutto nello statale, non ci sarà molto da fare su questo versante. Io invece mi auguro che ci siano da parte di soggetti privati (Chiesa, associazioni, imprenditori etc.) massicci investimenti in scuole private, perché questo è l’unico modo di creare delle sfide al sistema statale e obbligare il sistema statale stesso a migliorarsi. Io credo in una competizione privato-privato e privato-pubblico nella scuola, a tutti i livelli.
Certamente: direi anzi che proprio questo è il punto. Se l’autonomia non è questo, se non è la possibilità di reclutare, di scegliere gli insegnanti, è niente, è un imbroglio, è solo un incremento degli oneri burocratici che cadono sulla scuola, senza nessun vero costrutto. Ormai io diffido molto di queste parole, soprattutto della parola autonomia, sotto la quale si è nascosto un grande inganno. All’università l’autonomia ha significato una burocratizzazione molto forte, e non si capisce bene con quali vantaggi rispetto al sistema precedente; senza considerare che l’autonomia poi viene sempre violata dagli interventi centrali.
Oltre questo sono anche favorevole al coinvolgimento di soggetti privati, o enti pubblici locali: questo non può far altro che bene alla scuola, e può anche servire come mezzo di finanziamento di attività. Inoltre, questo coinvolgimento può spingere la scuola a tenere conto delle esigenze del mercato del lavoro esterno, anche a seconda della collocazione territoriale.