È un’assenza quasi imbarazzante in questa campagna elettorale, poco urlata e caratterizzata dal bon ton dei “duellanti”, qualsiasi riferimento alla scuola e alla complessità delle problematiche ad essa connesse.
È pur vero che argomenti, forse, più scottanti o più popolari tengono banco nelle trasmissioni e negli spazi dedicati alla informazione e alla discussione politica, ma è altrettanto vero che il silenzio dai principali circuiti informativi sui temi dell’educazione è a dir poco sconcertante e comunque significativo di una mancanza di attenzione ad una questione che dovrebbe trovarsi al centro dell’interesse di tutti.
Certamente qui non si vuol affermare che non sia presente nei programmi degli schieramenti politici un qualche spazio più o meno esteso dedicato alla scuola, ma soltanto che, dire agli italiani cosa si intende fare del sistema educativo nazionale e come si intende affrontare l’organizzazione scolastica nei diversi cicli, non è considerato argomento da spiegare ai cittadini chiamati al voto.
D’altra parte all’interno di una logica mediatica dominata dall’audience, come dar torto a chi, sia che programmi sia che faccia politica, preferisce puntare al consenso, presentando un biglietto da visita fatto di promesse che non potranno essere attuate, ma sicuramente più accattivanti come “meno tasse più salari”, slogan ricorrente di questa campagna.
E la scuola? La scuola fa audience solo quando presenta di sé gli aspetti più brutti o più negativi: episodi di bullismo o risultati, purtroppo scadenti, riportati dai nostri studenti nelle rilevazioni internazionali sugli apprendimenti (Ocse-Pisa) sono trattati, a ragione, con molta enfasi dai canali informativi.
Ed è ragionevole che i problemi della scuola siano portati all’attenzione generale ed escano dall’autoreferenzialità, come è ragionevole dedurne che la scuola si trovi, già da parecchio tempo, in uno stato di sofferenza. Sì la scuola soffre e soffrono con essa studenti, genitori, insegnanti. La scuola soffre perché da troppo tempo è in una situazione di stallo, soffre per occasioni di riforme mancate, soffre perché non più adeguata ai ritmi veloci di trasformazione sociale. Le manifestazioni di questa sofferenza sono sotto gli occhi di tutti: il dato nazionale, diffuso dal ministero della Pubblica Istruzione, del 70% di studenti con una o più insufficienze come esiti del primo quadrimestre fotografa una realtà sconfortante. Si può spiegare questo dato solo come risultato del disimpegno degli studenti o delle scelte sbagliate delle famiglie o della didattica che non funziona?
La battaglia politica che per decenni si è consumata attorno alla scuola ha impedito un vero e proprio cambiamento e la piena attuazione di una riforma in verticale, a parte qualche operazione di maquillage qua e là, che non ha risolto i veri nodi. Nell’alternanza dei governi che si sono succeduti, in questo fare e disfare, ad essere maggiormente penalizzata è stata la scuola secondaria superiore, che è rimasta ferma nell’impianto liceale, mantenendo grosse ambiguità tra istruzione tecnica e professionale e, soprattutto, mantenendo ancora alti i tassi di insuccesso e di dispersione scolastica.
Per questo la scuola non può rimanere ai margini di un discorso politico; interessarsi di scuola significa avere a cuore l’educazione e la crescita dei giovani, un buon investimento nella scuola è un investimento per il futuro e non vale dire “si danno già tante risorse alla scuola”, semmai occorre un maggior controllo sulla gestione delle risorse, semmai occorre che i politici abbiano lo sguardo più lungo e la visione più ampia, occorre un abito mentale diverso che abitui al confronto con gli altri, occorre che la scuola sia percepita come responsabilità di tutti.