Il fallimento dei corsi di recupero previsti dal decreto sui debiti firmato dal Ministro Fioroni era ampiamente annunciato.
E non a caso da mesi studenti, insegnanti e famiglie avevano manifestato molte perplessità sull’efficacia di uno strumento che, con scarse risorse e molti problemi organizzativi, avrebbe dovuto recuperare 8 milioni di insufficienze collezionate da 2 milioni di studenti (il 70% del totale) nelle pagelle del primo quadrimestre di quest’anno. Solo che il fallimento non sta nei corsi di recupero: è la scuola così com’è strutturata che ha fallito.
Ha fallito, perché costringe tutti gli studenti – organizzati per classi di età, senza tenere conto dei diversi tempi di apprendimento e delle diverse intelligenze – a studiare le stesse discipline, con le stesse metodologie e con gli stessi tempi uguali per tutti.
Col risultato che si mortificano le eccellenze, ma non si è neppure in grado di sostenere con efficacia chi è in difficoltà.
Una scuola che, inseguendo il mito dell’istruzione uguale per tutti, ha creato profonde disuguaglianze: la scuola di tutti non è la scuola di ognuno, perciò non è la scuola di nessuno.
Che fare allora?
Diminuire le ore di lezione settimanale; articolare le discipline in un nucleo di saperi fondamentali comuni a tutti e in una quota di materie opzionali. Le prime devono essere rigorosamente certificate sulla base di standard nazionali ed europei; le seconde devono essere validate. È evidente che l’attività didattica differenziata si deve concentrare sulle prime, la loro padronanza decide della soglia di ingresso nella cittadinanza e nella professione. E se ripetute certificazioni negative dovessero portare alla conclusione che un ragazzo non vuole o non può raggiungere gli standard nazionali?
Dovere della scuola è dire al ragazzo e alla sua famiglia qual è il livello reale della sua preparazione. Ma non è pensabile che il ragazzo venga trattenuto per anni dentro la scuola. Tentate tutte le strade, costruiti i percorsi per lui più adeguati, restano, alla fine, la sua libertà e la sua responsabilità. La certificazione finale dovrà dire che non ha raggiunto in tutto o in parte gli standard delle competenze chiave previste.
L’abolizione del valore legale del titolo di studio, sostituito da una certificazione veritiera, costringerà genitori e figli ad assumersi le responsabilità della vita.



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