A quali condizioni il sistema educativo nazionale può tornare ad essere motore dello sviluppo economico-sociale del Paese, fornire ai nostri ragazzi competenze all’altezza della terza rivoluzione industriale? Sono almeno quattro, e non da oggi. Sono i punti di un’agenda di riforme per lo più disattesa da molti anni a questa parte.
In primo luogo, una modifica dell’architettura istituzionale del sistema. Appartengono a questo capitolo radicali autonomie scolastiche e Fondazioni, federalismo scolastico, abolizione del Ministero dell’Istruzione, valutazione esterna degli studenti, degli insegnanti, dei dirigenti, delle scuole e conseguente ranking nazionale, abolizione del valore legale del titolo di studio. Nel secondo capitolo stanno il core-curriculum, la definizione e la certificazione delle competenze-chiave. Il terzo prevede un nuovo ordinamento: ancora lo schema 5+3+5, nonostante che la scuola media sia divenuta il buco nero del sistema? due o tre canali? Il quarto riguarda la formazione, il reclutamento, la gestione del personale. Inutile dire che questi sono capitoli dello stesso libro. Non si possono scrivere tutti insieme, non certo nel corso di una sola legislatura. Eppure la collocazione di una tessera del puzzle presuppone che si preveda dove si metterà l’altra. Le riforme di un sistema complesso non accadono random.
La proposta di legge di Mariastella Gelmini volta a promuovere il merito coglie, per quanto riguarda la scuola, tre punti tradizionali dell’elaborazione riformistica degli ultimi dieci anni, quali si possono trovare in Luigi Berlinguer, in Letizia Moratti, nel recentissimo progetto di legge Aprea ed altri, concernente l’autogoverno delle istituzioni scolastiche, la libertà di scelta educativa delle famiglie, la riforma dello stato giuridico dei docenti. Gelmini propone un ranking nazionale per le scuole autonome; l’esercizio di un’effettiva libertà di scelta delle famiglie, garantita dai voucher; una ristrutturazione radicale delle carriere e del reclutamento degli insegnanti. Diversamente da Giavazzi, condivido tutti e tre i punti programmatici, compreso quello sui voucher, che lui contesta, fidandosi ciecamente di affermazioni ideologicamente teleguidate di Daniele Checchi. Ma è bene riflettere sulle ragioni per le quali i progetti di riforma finora non sono stati portati a compimento: non risiedono nella povertà dell’elaborazione programmatica – che è all’altezza di quella europea, da cui ha preso moltissimo -, bensì nella debolezza del governo politico dell’Istruzione. Il governo reale e per niente affatto occulto del sistema educativo nazionale è rappresentato dall’Amministrazione ministeriale e dai sindacati. La politica arriva sempre dopo, costretta ad accettare più o meno obtorto collo le transazioni che si svolgono tra Amministrazione e sindacati o disponibile ad accettarle in cambio di voti. Ma i ministri passano, quel governo resta. Perciò il Ministero si è trasformato in un enorme apparato, che governa dall’alto l’intero sistema “giù per li rami”, che ha trasformato il Ministero in una succursale del Ministero del lavoro per la disoccupazione intellettuale femminile e centro-meridionale, che ha ridotto gli insegnanti a proletariato intellettuale colto, demotivato, depresso.
La politica di Berlusconi e del suo Ministro sarà giudicata dalla volontà/capacità di spezzare quell’asse di governo. Qui più che le idee serve la forza politica.



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