Chi oggi invoca la promozione del merito nella scuola cavalca un tema ineludibile per la rinascita del Paese. Francesco Giavazzi, però, lo fa in un editoriale, pubblicato ieri sul Corriere della Sera, ricco solo di buone intenzioni. Quando chiede di introdurre un sistema di valutazione degli istituti, che permetta alle famiglie di scegliere sulla base di dati oggettivi e affidabili il percorso migliore per i propri figli, dimentica che in Lombardia questo auspicio è già realtà: nel settore dell’Istruzione e Formazione professionale i singoli enti rendono trasparenti efficacia ed efficienza delle proprie attività.
Perché non indicarne l’esempio?
La direzione lombarda è molto diversa da quella seguita dall’ex ministro Fioroni, che aveva sostituito l’esame dei risultati di ogni singola scuola con un sistema di valutazione a campione, per sua natura deresponsabilizzante. Trova pieno sostegno anche la richiesta di rivedere le modalità di reclutamento e progressione di carriera dei docenti, oggi costretti a un ruolo impiegatizio che ne svilisce la passione e l’impegno.
Mentre disegna queste linee programmatiche, Giavazzi liquida come fallimentare l’unica concreta innovazione introdotta fino ad oggi nel mondo dell’istruzione: il buono scuola di Regione Lombardia. Spacciando per dati consolidati le stime teoriche di uno studio che per sua stessa ammissione è “un primo sguardo ai voucher” basato solo sui risultati dei primi due anni di applicazione, l’economista sottovaluta il carattere innovativo del buono scuola, che dal 2.000 ad oggi ha permesso a circa 60.000 ragazzi lombardi di scegliere la scuola preferita, indipendentemente dalle proprie condizioni economiche di partenza. Soprattutto, il Buono Scuola sana – purtroppo solo in parte – l’ingiustizia subita da chi, scegliendo un’istruzione non statale per i propri figli, paga il doppio o più degli altri: una volta con il normale prelievo fiscale (parte del quale serve a finanziare l’istruzione statale), un’altra con la retta versata all’istituto.
I risultati conseguiti fino ad oggi dal buono scuola smentiscono chi ritiene che tale intervento sia destinato solo alle famiglie più abbienti. Il 72% dei beneficiari in Lombardia risulta appartenere a classi di reddito inferiori ai 25 mila euro. Inoltre l’applicazione del buono scuola ha avuto come effetto un buon giudizio sulle istituzioni da parte delle famiglie (mi riferisco allo studio Violini, Lauro, Maccarini, Capone, “Politiche sussidiarie nel settore dell’istruzione: il caso del buono scuola in Lombardia”, Giuffrè 2007), cosa non comune nell’Italia di oggi.
Proprio alla luce di questi risultati, in Lombardia abbiamo deciso di potenziare questo strumento, introducendo il sistema della Dote. La Dote è un insieme di risorse che integra provvidenze di diversa natura, dal sostegno per pagare la retta ai premi per le eccellenze, unificandoli in unico strumento che accompagna la persona lungo tutto il suo percorso educativo. Con la Dote si valorizza l’esperienza del buono scuola, in un’ottica di razionalizzazione delle risorse e di una maggiore libertà di scelta.
I fattori di cambiamento attuati in Lombardia non sono teorici. Nascono da un’esperienza concreta e possono essere rielaborati e proposti a livello nazionale. Si tratta di fatti, a fronte di tante parole spese sul merito e cadute nel vuoto. Chi ha a cuore il futuro dei ragazzi e del Paese dovrebbe riconoscere e sostenere iniziative di questo genere.



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