Marco Aurelio Cardoso de Souza insegna musica a Belo Horizonte, stato del Minais Gerais in Brasile. È un autentico musicista, ma non lavora in accademia né in conservatorio. Insegna a “Jardim Felicidade”, a bambini che provengono da esperienze familiari e sociali che nelle nostre scuole sarebbero definite “a rischio disagio”. Vivono in favela, spesso in realtà degradate;  potrebbe “bastare” dar loro un tetto, un pasto, farli giocare, in poche parole assisterli, con lo scopo di ripagarli in parte della “sfortuna” di essere nati lì. Ma l’analisi sociologica è totalmente estranea all’esperienza di Marco Aurelio: ascolta, accoglie, propone l’arte di cui è padrone perché i bambini possano gustarla, farla propria, contagiati dalla passione del maestro e così appassionarsi alla realtà e alla vita.
Chi potrebbe negare che la musica e la danza fanno parte della storia del popolo brasiliano? L’intelligenza del maestro è nel far emergere questa caratteristica, questa naturale predisposizione e di guidarle perché si esprimano secondo il loro scopo e nella forma aderente ad esso; solo in questo modo è possibile educare insegnando.
Facciamo parlare lui:
«Come insegnare ai bambini cos’è il carnevale? Come aiutarli a percepirlo dentro a una festa tradizionale brasiliana: una festa del ritmo, del corpo, della fantasia? È chiaro che ogni spiegazione sarebbe insufficiente di fronte alla magia caratteristica di questa festa. Ho pensato che innanzitutto l’esperienza sarebbe stato il miglior percorso. Ho pensato molto a come fu che nella mia infanzia io incontrai il carnevale, perché oggi le immagini che abbiamo del carnevale ci fanno dimenticare che l’allegria e la purezza del cuore possono convivere insieme. Ho pensato alla leggerezza dell’euforia che ci faceva giocare in un salone con i nostri amici, ora tirando coriandoli e stelle filanti, ora cantando e dondolando le braccia. Ricordo che tutto l’ambiente è primitivo: il battito dei tamburi, la voce che grida, la sensazione di soddisfazione e di allegria, questo è il carnevale. Ho cercato allora alcuni ornamenti che fossero suggestivi per la fantasia (hawaiane, gattini, indio) e ho preso il tamburello per animarli. E ho insegnato attraverso loro una marcetta “mamma io voglio…”. La sorpresa è stato vedere a poco a poco i bambini reagire al richiamo della musica e del ritmo. Nel gruppo di Carla, di fianco a me, c’era Caique che muoveva le spalle in una danza leggera, senza sbavature, un “assolo” di quelli che sembrano creare il carnevale. Il corpo gradisce e si diverte, come in una ruota o nel gioco del calcio. Nel gruppo di Milene stava di fronte a me Richard, ballando come un personaggio incantato che coi suoi movimenti armoniosi, col suo sorriso sicuro e chiaro sembrava volerci convincere a seguirlo. È chiaro che noi, per qualche motivo più timidi, poco a poco abbiamo risposto al suo appello» (INIZIARE, 2-2005, pag. 56-64).
Così i bambini (di dure, tre o quattro anni) scoprono dentro di sé le radici di un’appartenenza che li fa sentire voluti bene, al di là della condizione in cui vivono; sono felici, la bellezza che sono educati a gustare fa bello il mondo.
Le mamme se ne accorgono, vogliono conoscere questo maestro… ma questa è un’altra puntata della storia!



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