Si torna a parlare molto di scuola sui giornali, come forse non succedeva da anni. L’argomento ora all’ordine del giorno è la rivalutazione della professione docente. Motivare gli insegnanti a dare di più, alzando gli stipendi e modificando il sistema di reclutamento.
La discussione ha avuto inizio con l’audizione alla Commissione Cultura durante la quale il ministro Gelmini ha lanciato l’impegno per questa legislatura di elevare gli stipendi dei prof italiani, portandoli alla media dei colleghi dei Paesi Ocse. Poi è stata la volta dell’editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, con immediata approvazione del ministro dalle colonne dello stesso giornale, sul tema “come assumere gli insegnanti”. Secondo Paola Mastrocola, insegnante anch’essa e scrittrice, i prof hanno decisamente bisogno di essere motivati, per uscire dalla «diligente mediocrità» che spesso li contraddistingue.
Parliamo innanzitutto del sistema di reclutamento degli insegnanti, che secondo Giavazzi (ma è un’opinione ormai condivisa da molti) dovrebbe diventare più flessibile, lasciando autonomia decisionale ai presidi. Cosa ne pensa?
Sono assolutamente d’accordo. Il concorso nazionale non funziona, proprio per le ragioni ricordate da Giavazzi: chi assume gli insegnanti deve avere la possibilità di sceglierli, e quindi anche prendere su di sé tutta la responsabilità delle proprie scelte. Ricade su di lui l’eventuale errore, e se una scuola assume un insegnante sbagliato, perché ignorante o inetto, poi verrà valutata male a causa degli insegnanti che ha scelto. L’unica questione che rimane aperta è però quella dei criteri che i presidi adotteranno per scegliere gli insegnanti.
Si può già immaginare la critica di chi parlerà di scelte basate sull’arbitrio dei singoli presidi.
Se l’arbitrio è basato su una precisa idea di scuola, allora va bene. Mi spiego: ci sarà un preside che tiene di più a una scuola incentrata sull’aiuto psicologico e sui problemi sociali. Questo preside sceglierà insegnanti che si dedicano anima e corpo all’insegnamento, sempre presenti a scuola e che seguono i ragazzi in altre attività. Se invece un preside ha un’idea più culturale della scuola, può darsi che scelga degli insegnanti che hanno pubblicato dei libri, o che passano molto tempo in biblioteca a studiare. Genitori e studenti sceglieranno la scuola che preferiscono.
Come fare poi a valutare gli effetti di queste scelte?
Questo è il secondo punto del discorso di Giavazzi, ed è importantissimo. La valutazione degli insegnanti è un discorso molto difficile. Li valuto sulla base dei risultati degli allievi? Con una scuola di massa dove entrano tutti, e sono obbligati ad andare a scuola anche quelli che non sono affatto adatti? Parlo per esperienza personale: a volte ho delle classi che per due terzi sono fatte da allievi che entrano caproni ed escono ugualmente caproni. Io devo essere valutata per questo esito? Allora anch’io come insegnante mi scelgo una scuola d’élite, dove vanno ragazzi d’élite, e dove io sono assicurata che l’esito sarà ottimo. Mi pare che la valutazione fatta sugli studenti non funzioni molto, ma temo che sarà questo il criterio che verrà scelto.
Si è parlato anche di autonomia degli insegnanti nell’impostare i programmi: qual è la sua opinione su questo?
Lo dico sinceramente: è una cosa che mi fa una paura enorme. Si tratta di un’idea già presente nella riforma Berlinguer, e secondo me è quello che sta distruggendo la scuola italiana. Una cosa del genere può venire in mente solo a chi non fa l’insegnante; l’intellettuale che insegna in America può anche permettersi di dire una cosa così terribile. Significa non avere idea di che cosa sono i singoli insegnanti.
Qual è il rischio così grave di questa impostazione?
Il fatto che non avremo più una cultura condivisa: Dante, per fare un esempio, lo insegnerà una persona su duecento, se va bene. La grammatica, poi, già adesso alcuni la fanno e altri no. Io penso che su questo ci debbano essere delle commissioni nazionali, con il compito preciso di ristabilire i programmi, presiedute dai grandi che abbiamo in Italia. Per fare un esempio concreto, la materia “italiano” la darei a un letterato e a un linguista, come Pietro Citati e Luca Serianni. La fisica a Rubbia, e via discorrendo. Usiamo questi grandi personaggi che stabiliscano a livello nazionale i nuovi programmi.
Quali saranno gli spazi di autonomia che restano agli insegnanti?
Rimagnono spazi enormi! Preciso innanzitutto che “autonomia” è in realtà una parola che a me non piace. Usiamo la parola “libertà”. La libertà dell’insegnamento: quella sta nel modo con cui io insegno. Pensiamo al modo diverso con cui si può insegnare Dante: ci sarà l’insegnante filologo, ci sarà l’insegnante più “alla Benigni”. Quella è la vera autonomia: non certo il fatto di decidere se insegnare Dante o leggere il giornale. La vera differenza è data dalla persona, che si mette in gioco insegnando.
Il ministro Gelmini ha anche dichiarato il proprio impegno di elevare gli stipendi dei nostri insegnanti, portandoli alla media degli altri Paesi Ocse.
Bisogna certo arrivare anche a quello, ma secondo me è l’ultima cosa. Prima selezioniamo bene, reclutiamo bene, formiamo, valutiamo; quinta cosa, paghiamo. Prima è necessario fare una serie di vere e propri “rivoluzioni”, perché le cose che ho indicato prima sono tutte cose che risulterebbero rivoluzionarie.
Anche tra gli insegnanti si trovano i cosiddetti “fannulloni”?
Decisamente sì; anche se il problema non è tanto quello dei fannulloni, quanto quello della mediocrità imperante. Lasciamo da parte gli insegnanti che fanno troppo malattia o non fanno niente in classe: è fin troppo facile bollarli come incapaci. Ma questi sono solo una minima parte. La maggior parte degli insegnanti è semplicemente e diligentemente mediocre. E questo è un gravissimo danno agli studenti, perché una persona mediocre farà lezioni mediocri, e non otterrà mai né di appassionare né di migliorare un ragazzo.
In questi giorni, con la conclusione della scuola, si è parlato molto anche dell’innalzamento del numero di rimandati e bocciati: il ministro Fioroni dice che è merito del suo ritorno alla serietà.
È vero: il ministro Fioroni ha certo avuto il merito di richiamare tutti a una certa serietà, sebbene abbia dovuto fare anche qualche compromesso. Sulla questione dei recuperi, poi, ci vorrebbe il ripristino totale degli esami a settembre. Il messaggio da dare ai ragazzi è quello di favorire una responsabilità personale. Se ti do quattro, il messaggio dev’essere: adesso studia. Non: io ti do quattro, ma penso io a come recuperarti, come accade adesso.
Siamo anche alla vigilia dell’esame di maturità: funziona secondo lei il modello attuale?
Anche da questo punto si vista si è fatta una cosa buona a ripristinare almeno in parte la figura dell’esaminatore esterno: il ragazzo non deve ritrovarsi all’esame esattamente tutti i suoi insegnanti, ma nuovi insegnanti venuti apposta per valutarlo. Questo è di nuovo un segnale di serietà. L’insegnante esterno fa paura; e la paura è un motore fantastico per l’impegno, anche per noi adulti.