Ieri, 17 Giugno 2008, il Ministro Mariastella Gelmini, durante una audizione alla Commissione Istruzione della Camera dei Deputati, ha formulato alcune proposte su possibili linee di riforma per il settore universitario. Scopo di questo articolo non è quello di analizzare punto per punto tali proposte, bensì quello di cercare di tracciare un quadro di insieme ed offrire spunti di riflessione.
Gli interventi proposti dal Ministro Gelmini mi pare che possano essere classificati in tre gruppi:
Maggiori investimenti per i giovani di talento (diritto allo studio e dottorandi);
Razionalizzazione del settore (riduzione del numero di corsi di laurea, abolizione dell’Agenzia per la valutazione, nuove procedure di reclutamento per i docenti ed i ricercatori);
Più intensa attività di valutazione (pubblicazione on line dei dati sulle prestazioni delle università).
Tutte e tre le aree, ovviamente, sono effettivamente tra quelle prioritarie per una riforma del sistema universitario.
Per quello che riguarda il diritto allo studio universitario, l’idea di potenziare lo strumento del prestito d’onore appare coerente con la natura stessa dell’istruzione universitaria. Infatti, i benefici da essa derivante sono prevalentemente privati: ad esempio, redditi più elevati, status sociale migliore, ecc.. Così, un sistema di sostegno esclusivamente pubblico attraverso borse di studio a fondo perduto appare iniquo, poiché la fiscalità generale finanzia in questo modo solo una parte di popolazione, quella che frequenta l’università. Peraltro, poiché mediamente gli studenti universitari appartengono a fasce della popolazione più ricche, il finanziamento pubblico ha addirittura effetti regressivi. Infine, i prestiti incentivano comportamenti virtuosi degli studenti, che hanno interesse a completare i propri studi rapidamente e con profitto – mentre, qualora ricevano borse di studio a fondo perduto, tale incentivo è meno forte.
Certamente, l’idea di aumentare l’importo delle borse di dottorato è coerente con la finalità di rendere i dottorandi più autonomi e più concentrati sulle attività di ricerca, piuttosto che su attività alternative per integrare le proprie entrate finanziarie. Su questo punto, però, occorre essere realisti: un aumento della borsa di soli 250 euro rischia di essere inefficace, ed immaginare che una borsa di 1.000 euro mensili possa essere sufficiente a mantenere uno studente di dottorato è utopico. Eppure da qualche parte occorre pur cominciare, e dunque la proposta del Ministro va accettata di buon grado; allo stesso tempo, però, sarebbe necessario immaginare che nel giro di qualche anno di sperimentazione l’importo della borsa diventi (almeno) pari a 1.500 euro mensili. Poiché le risorse pubbliche non si possono moltiplicare, questo risultato andrebbe raggiunto utilizzando risorse attualmente utilizzate per altri scopi. In questa direzione, si potrebbe ad esempio pensare all’utilizzo per questa finalità delle risorse destinare alla programmazione triennale del sistema universitario (125 milioni di euro all’anno circa), che spesso sono allocate con criteri poco premianti; oppure, per questo scopo potrebbe essere riservata una quota parte degli aumenti annuali del fondo di finanziamento ordinario (FFO) – in fondo, la formazione alla ricerca è una attività core delle università! Anche l’idea di creare nuovi posti alloggio per studenti universitari fuori sede è positiva. A tal fine, peraltro, il Ministero ha già uno strumento legislativo che ha dimostrato negli anni scorsi di poter operare efficacemente, premiando i progetti migliori (legge n. 338/2000); si tratta dunque di destinare nel prossimo futuro i finanziamenti in conto capitale a questa misura, e di velocizzare le procedure di assegnazione dei finanziamenti.
Anche il tema della valutazione è stato trattato, a mio parere, in modo corretto. Più che inventare nuove procedure di valutazione, è importante far circolare ed utilizzare i risultati delle valutazioni che già vengono effettuate. In particolare, l’idea di pubblicare quante più informazioni possibile via web è la direzione verso cui stanno andando, da tempo, numerosi sistemi universitari in diversi paesi europei ed extra-europei.
Su questo punto, tuttavia, occorre fare una precisazione. La maggior parte delle informazioni sono già a disposizione del Ministero. Ad esempio, tutte le valutazioni di customer satisfaction sono già a disposizione del Comitato Nazionale per la Valutazione / CNVSU presso il MIUR; fino ad oggi esse non sono state pubblicate per la necessità di effettuare alcuni affinamenti metodologici. Se, però, il Ministero decidesse (a mio avviso, opportunamente), di pubblicarli, lo si potrebbe fare immediatamente.
Lo stesso vale per la produzione scientifica dei docenti – le valutazioni qualitative effettuate dal CIVR sul triennio 2001-2003 sono già disponibili on line.
Per quello che riguarda le informazioni sul destino dei laureati nel mercato del lavoro, vi sono alcuni consorzi interuniversitari e centri studio (nonché numerosi nuclei di valutazione interni agli atenei), che già raccolgono periodicamente informazioni anche molto dettagliate su un numero elevato di laureati in molte università. Il Ministero potrebbe svolgere in questo senso una funzione di raccordo, coordinamento, diffusione dei dati, ecc., più di quanto abbia fatto sino ad ora.
Per quello che concerne l’ANVUR, non so giudicare se, effettivamente, essa sia una struttura burocratica come sostiene il Ministro Gelmini. Per la verità, l’Anvur oggi non esiste, esiste solo sui regolamenti e sulle carte, ma non ha mai operato. L’idea di accorpare CNVSU e CIVR in una unica agenzia (l’ANVUR, per l’appunto), finalizzata alla valutazione di didattica, ricerca ed attività amministrative delle università potrebbe in generale non essere sbagliata, ma su questo ovviamente sarà la politica a decidere. Quello che invece è fortemente sbagliato è che, da quando è stata annunciata l’ANVUR dal precedente governo, le attività di valutazione del CNVSU e del CIVR si siano, nei fatti, interrotte. Mentre la politica decide, sarebbe bene che le valutazioni qualitative della produttività della ricerca (CIVR) ed il lavoro annuale del CNVSU riprendessero a pieno ritmo – su questo, con semplici interventi, il Ministro Gelmini potrebbe dare operatività immediata.
Più perplessità, invece, suscitano le dichiarazioni sulla volontà di ridurre il numero di corsi di laurea, oppure di riformare le modalità di reclutamento dei docenti e dei ricercatori. Infatti, per queste due questioni, sarebbe a mio avviso oportuno percorrere la strada della valorizzazione della autonomia delle università, piuttosto che intervenire centralmente. Ciascun ateneo deve avere il diritto di istituire quanti corsi di laurea desidera; piuttosto, occorrerebbe stimolare meccanismi di mercato che facciano in modo che i corsi di laurea con pochissimi iscritti siano nei fatti penalizzati (ad esempio, esclusi dal finanziamento pubblico): un adeguato sistema di informazioni ex ante per gli studenti (cfr. punto precedente) farebbe il resto.
Ancora più delicato il tema del reclutamento dei docenti e dei ricercatori; su questo, è l’esperienza che insegna. Infatti, in tutti i sistemi universitari che funzionano bene (UK, USA, Australia, ma anche nei paesi scandinavi) le università hanno larghissimi margini di autonomia per scegliere i propri docenti. Non esistono, in questi sistemi, complicate regole o meccanismi istituzionali e legislativi rigidi per la scelta dei docenti; tale scelta viene effettuata in grande autonomia dalle comunità scientifiche (gruppi di ricerca, dipartimenti, schools). In un sistema in cui (1) ogni gruppo sia responsabile pubblicamente della propria produttività (valutazione della ricerca), (2) ogni ateneo sia responsabile della gestione delle proprie risorse (autonomia finanziaria), e (3) gli studenti possano scegliere liberamente le università che ritengono migliore, la strada per migliorare il reclutamento dei docenti è quella di de-regolamentare più che di studiare nuove regole. Negli ultimi anni, il tentativo nel nostro paese di riformare le procedure di reclutamento si è rivelata fallimentare (si vedano i tentativi del Ministro Moratti e del Ministri Mussi); ed anziché risolvere un problema, si è aggiunta incertezza. È allora più opportuno provare, oggi, una strada diversa: liberalizzare il settore andando verso una maggiore competizione (virtuosa) tra atenei, e lasciare autonomia agli atenei per gestire le proprie attività (autonomia nel reclutamento dei docenti ed autonomia finanziaria). In questo quadro, il Ministero potrebbe concentrare le proprie energie nella attività di valutazione e di “governo a distanza”, secondo le linee descritte in precedenza.