Terminate le prove scritte e conoscendone l’esito, gli studenti si apprestano a vivere l’ultimo atto dell’esame di Stato: il colloquio. Si tratta di un momento importante, perché finalmente lo studente può diventare il protagonista dell’esame. La possibilità che gli è data di partire da un argomento o da un lavoro a sua scelta va in questa direzione. A lui sfruttarla in pieno, non con un taglia-incolla di informazioni per lo più catturate su Internet, ma prendendosi il coraggio di mettere in campo i suoi interessi, le sue capacità critiche, la sua creatività.
L’avvio del colloquio è quindi in un certo senso decisivo, in quanto da come uno studente gestisce la scelta di un argomento e da come ne imposta la trattazione si vede la qualità della sua cultura. Per una commissione composta da insegnanti che hanno intuito dell’umano e quindi da un particolare sanno cogliere il valore di ogni studente, ciò che il candidato presenta potrebbe bastare, e sull’argomento potrebbero far riferimento inducendo ulteriori sviluppi.
Purtroppo, difficilmente un colloquio all’esame di Stato avrà questo andamento. Il più delle volte sarà condotto in tre momenti progressivamente separati: il primo con la presentazione del lavoro sello studente; il secondo con il fuoco di fila delle domande disciplinari di ogni insegnante; il terzo con la correzione degli elaborati scritti. Del resto la formula dell’esame legittima questa procedura meccanica, del tutto inutile perché va a verificare quanto si è già verificato durante l’anno e di fatto considera il lavoro degli studenti un atto dovuto, ma di poco valore.
C’è quindi da augurarsi che gli studenti si trovino davanti a commissioni d’esame che non considerino il colloquio un’arma per sondare in lungo e in largo il livello di nozioni apprese, ma un’occasione per cogliere come un giovane d’oggi si avventura nella conoscenza, giocando la sua umanità. Il colloquio all’esame di Stato è interessante solo in questa prospettiva, solo in quanto possibilità di un incontro umano; altrimenti è lo stanco ripetersi di un rituale meccanico, dove nessuno impara nulla.
Che il colloquio sia un’occasione per parlare di sé dipende da ogni studente, questo è fuori da ogni discussione; e non si può negare che certi lavori presentati dagli studenti non hanno dentro nulla della loro umanità. Ma dipende ancor di più dagli insegnanti. Da come conducono il colloquio si vede che cosa cerchino: se cerchino la capacità di ogni studente, la loro umanità nell’atto del conoscere, o se cerchino un’ultima affermazione di loro stessi, sia nella versione del potere della loro conoscenza, sia nella versione del potere della valutazione.



(Gianni Mereghetti)

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