L’art. 70 (Disposizioni in materia di organizzazione scolastica), collocato sotto il cappello del Cap. II (Contenimento della spesa del pubblico impiego) del DPEF, sarà ricordato a lungo dalla scuola italiana. La novità consiste nell’intreccio, voluto da Tremonti, tra rigore finanziario e riforme del sistema. Tutti i ministri finanziari precedenti avevano concordato tagli con i colleghi dell’Istruzione, senza toccare l’assetto del sistema: tagli a sistema invariato. I ministri dell’Istruzione si acconciavano a malincuore: ma l’impatto dei tagli costituiva anche un alibi per non spingere l’acceleratore sulle riforme. La filosofia del DPEF 2008 è un’altra: fare le riforme per abbassare la spesa e per qualificarla. Il comma 4 dell’art. 70 è drastico: per attuare il Piano programmatico di interventi «volti ad una maggiore razionalizzazione delle risorse umane e strumentali disponibili», si provvede ad «una revisione dell’attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico». L’elenco delle operazioni da fare riprende ciò che esplicitamente o in filigrana stava già nella legge n. 53 del 28 marzo 2003 (La riforma Moratti) e che Fioroni aveva sospeso, soppresso o rinviato al 1° settembre 2009: 



  1. razionalizzazione e accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti. Qui viene messo in discussione il tabù delle classi di concorso peri docenti, negoziate da sempre tra sindacati e Amministrazione.
  2. ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola, anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali. Traduzione: saranno abolite materie, cattedre, ore.
  3. revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi. Esempio: c’è un sacco di quinte classi delle scuole superiori con soli 12 allievi. Qui si decide di lasciare alle autonomie scolastiche la facoltà di formare le classi, dentro un vincolo di organico assegnato. Esempio: posso accorpare due quinte e abbassare il numero di alunni nelle prime.
  4. rimodulazione dell’attuale organizzazione didattica della scuola primaria. Si chiama diminuzione di maestre/i per classe, verso il ritorno al maestro unico.
  5. revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale ATA, finalizzata alla razionalizzazione degli stessi. Non c’è bisogno di traduzione!
  6. ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa. Sono i Centri Per gli Adulti, già previsti da Fioroni e in corso di attuazione.
L’impatto sulla scuola sarà violento e cogente. Intanto perché le cifre della riduzione si aggiungono a quelle già decise dalla legge del 24 dicembre 2007 (Finanziaria Prodi 2008). Prodi prevedeva un risparmio di 1.432 milioni di euro a decorrere dal 2011, il DPEF ne prevede per la stessa data 2.530 milioni. E per garantirsi che l’Amministrazione dell’istruzione proceda effettivamente ai risparmi si riafferma la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, già istituita dalla Finanziaria Prodi del 2007. Che vuol dire: i mancati risparmi saranno detratti dalle spese ordinarie delle scuole.
Violento, perché le misure di rigore, che l’opportunismo dei governi precedenti aveva rinviato a partire dal 1998, ora si concentrano in un paio d’anni.
Cogente, perché per i dirigenti del Ministero e per i dirigenti scolastici, coinvolti nel processo di razionalizzazione, non ci sarà scampo: «il mancato raggiungimento degli obbiettivi prefissati… comporta l’applicazione delle misure connesse alla responsabilità dirigenziale». A queste misure appartengono il rispondere di tasca propria e provvedimenti amministrativi.

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