Il decreto legge fiscale approvato dal Consiglio dei ministri la scorsa settimana contiene all’articolo 70 misure di contenimento in materia di organizzazione scolastica che sono indicative della stretta relazione ormai esistente tra strategia economico finanziaria e strategia riformistica.
Ogni comparto su cui si regge il sistema Paese dovrà fare i suoi conti e affrontare inevitabili sacrifici, che hanno un senso se sono chiare entrambe le sponde del fiume tra cui si muove il risanamento: alla riduzione della spesa da una parte, deve corrispondere il rilancio degli investimenti sui settori qualitativamente dinamici dall’altra.
Per quanto riguarda l’istruzione, è evidente che non si possono premiare la scuola efficiente e gli insegnanti che lavorano se non vengono reperite le risorse necessarie.
Da un certo punto di vista l’attuale progetto è simile alle Finanziarie che lo hanno preceduto e che prevedevano tagli nel campo della istruzione realizzati (solo in parte) senza che ad essi corrispondesse una effettiva volontà di cambiare l’assetto complessivo.
La scuola è stata considerata per troppo tempo come un serbatoio di occupazione ed è ora difficile intraprendere un altro cammino. Invece lo si deve fare, per il bene della scuola e per il bene del Paese.
Il perno della scuola è la relazione educativa che si instaura tra docenti e allievi: all’insegnante non serve solo essere preparato, deve essere anche motivato a farlo. Non ci spaventa una idea di scuola più flessibile, con orari ridotti rispetto alla attuale ridondanza (specie alle superiori), che consenta ai ragazzi di spenderci meno ore, ma di spenderle meglio. Abbiamo sempre resistito ad un modello di scuola imposta dall’alto, centralisticamente organizzata, soffocata dalle circolari.
Ci sembra di intravedere in questa fase dell’attività politica un’altra logica, che, magari in nome di un efficientismo un po’ ruvido, propone soluzioni che sono realistiche.
In questo senso, il perno del documento ci sembra essere il punto 9, dove si destina il 30% delle economie di spesa per le iniziative dirette alla valorizzazione e allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall’anno 2010.
Il tempo si è fatto breve: il 2010 è dietro l’angolo e ancor prima, ossia dal settembre 2009, il Ministro Gelmini dovrà decidere che cosa fare del decreto attuativo 226 (conseguente alla riforma Moratti, poi sospeso da Fioroni) che avviava la riforma di tutta la scuola superiore.
Il piano programmatico cui accenna il decreto sarà decisivo su due punti: il destino degli istituti tecnici e professionali, da una parte, e la carriera dei docenti (da riscrivere), dall’altra.
Auspichiamo che oltre a tenere conto delle economie di spesa, cui anche i dirigenti ministeriali e scolastici dovranno adeguarsi, si tenga conto della scuola reale, quella dove si spendono energie fisiche e morali per il bene dei ragazzi. È da questa che occorre sempre ripartire.