L’immagine dello studente medio italiano, quella almeno che ci giunge dai media, è un’mmagine in negativo, condizionata da episodi di cronaca, certamente non edificanti, e da risultati scolastici finali ogni anno sempre più disastrosi.
La percezione che l’opinione pubblica ne ricava non è certo lusinghiera, modulata com’è sulle gradazioni che vanno dallo svogliato allo sfaticato, dal pelandrone al fannullone.
Quasi non si direbbe che questi sono gli stessi ragazzi che vediamo, in questi giorni, affrontare l’Esame di Stato conclusivo del loro ciclo di studi.
A vederli il primo giorno con lo sguardo tra il preoccupato e l’intimorito, tra il pensieroso e lo spaventato, non si direbbe che siano gli stessi studenti che, magari, durante l’anno scolastico hanno fatto perdere la pazienza a più di un insegnante.
Qualcuno all’ingresso tenta ancora un po’ di spavalderia che si spegne però, davanti alla serie di banchi, interminabili, lungo il corridoio e davanti alla serie dei volti, noti e non, dei Commissari interni ed esterni e del Presidente.
Qualche previsione sugli argomenti possibili della Prima Prova, qualche commento sulla maggiore o minore severità sugli insegnanti, qualche tentativo di studio psicologico sul Presidente ed il rito puntualmente può avere inizio.
Sì, ha inizio, dopo l’attesa snervante di un’ora circa per le operazioni di fotocopiatura della prova ministeriale. Una Prova, la Prima, sempre più complessa per le diverse tipologie, per gli ambiti, ben quattro solo per
Districarsi nella scelta delle quattro tipologie e dell’argomento non dev’essere cosa facile: le consegne non sono semplici, interpretare e confrontare i documenti, ben dieci per l’ambito artistico-letterario, è un buon deterrente, gran parte si orienta verso il tema tradizionale, più accattivante nel titolo, più vicino al mondo giovanile, ma con una tesi già espressa, sulla quale finiscono per appiattirsi i ragazzi, non avendo, forse a disposizione, sufficienti strumenti per metterla in contraddizione.
Il rito continua il giorno dopo con
Nata con l’intento di verificare in modo veloce gli apprendimenti in più discipline oggetto di esame, si è rivelata negli anni la più ostica da affrontare per il numero di discipline coinvolte, da quattro a cinque, per la diversa tipologia di quesiti proposti, dalla scelta multipla alle risposte brevi o addirittura alla trattazione, e per il breve tempo entro cui deve svolgersi. Non è quindi una casualità che proprio questa risulti essere, in genere, la più penalizzante per i candidati e, se consideriamo che la valutazione finale dell’Esame di Stato deriva rigorosamente dalla somma dei punteggi di tutte le prove, è altrettanto evidente che anche una sola prova non del tutto riuscita, rischia di vanificare il percorso scolastico più brillante.
È un richiamo questo per affermare: in primo luogo che non sono ammesse approssimazione e superficialità da qualsiasi parte provengano, perché i quasi cinquecentomila studenti, che affrontano quest’anno l’Esame di Stato, si giocano qui il loro futuro professionale o la successiva carriera di studi universitari; in secondo luogo che il confronto sulla scuola deve aprirsi ai percorsi disciplinari, alle competenze in uscita e perché no alla complessa architettura degli ordinamenti scolastici.
Riportiamo al centro dell’attenzione e dell’interesse loro: gli studenti.