Con la consueta mitezza di toni, ma con incredibile forza e chiarezza di parole e contenuti, il Santo Padre è tornato, in occasione del suo intervento all’assemblea generale della Cei, a parlare di emergenza educativa e di libertà di educazione.
L’affondo nei confronti del relativismo «pervasivo e non di rado aggressivo», che fa venir meno le certezze, i valori e le speranze che danno un senso alla vita, non è nuovo; ma più incisivi ed accorati del solito appaiono i richiami nei confronti di uno «Stato democratico, che si onora di promuovere la libera iniziativa in ogni campo», eppure continua a non riconoscere «un adeguato sostegno all’impegno delle istituzioni ecclesiastiche nel campo scolastico».
La perentorietà delle sue affermazioni ha suscitato le solite reazioni stizzite dei benpensanti del laicismo nostrano e dei “sacerdoti del relativismo”, che fanno dell’assenza della verità l’unico dogma possibile; ci auguriamo tuttavia, insieme a Benedetto XVI, che quei «segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo», percepibili nel Paese e che sembrano «allargarsi al sentire popolare, al territorio e alle categorie sociali», comincino a prevalere e a determinare una inversione di tendenza che «ponga di nuovo al centro la piena e integrale formazione della persona umana».
Con grande realismo, però, il Papa ci ha avvertito che «questo clima ha bisogno di consolidarsi e potrebbe presto svanire, se non trovasse riscontro in qualche risultato concreto». All’aspettativa, grande e giustificata, suscitata da condizioni politiche particolarmente favorevoli quali quelle attuali, subentrerebbe rapidamente una delusione ancor più grande e motivata.
Per questo è necessario mettere mano, in tempi rapidi, a provvedimenti che favoriscano il «confronto tra centri formativi diversi […] nel rispetto dei programmi ministeriali validi per tutti». L’esperienza positiva di numerose scuole paritarie che operano nel nostro Paese, talvolta anche in collaborazione con istituti statali (ad esempio per la realizzazione di progetti in rete e pubbliche iniziative culturali), già documenta la grande possibilità di stimolo alla qualità dell’insegnamento e di beneficio al sistema scolastico complessivo che tale confronto apporta.
Sono segnali ancora marginali, purtroppo. Occorrono un deciso “cambio di marcia” ed il coraggio di sfidare quei poteri che tengono in scacco da molti, troppi anni, l’intero sistema scolastico italiano; questo permetterebbe alle pubbliche istituzioni di completare il processo di parità scolastica rimasto incompiuto proprio per mancanza di un adeguato riconoscimento economico alle scuole paritarie e di cominciare a realizzare «una politica coerente ed organica che riconosca alla famiglia quel ruolo centrale che essa svolge nella società, in particolare per la generazione ed educazione dei figli».
Basterebbero alcuni semplici strumenti, come (per citarne solo alcuni) l’introduzione di forme sostanziose di detraibilità/deducibilità per le famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie o l’estensione a tutto il Paese del buono scuola/dote sul modello della Lombardia.
Non si tratta di provvedimenti contro la scuola statale, come qualche sindacato ha già cominciato a lamentare, anticipando la possibile fisionomia della prossima finanziaria, ma per una scuola davvero pubblica, cioè frutto della creatività e dell’impeto ideale presente in quelle «forze popolari multiple, preoccupate di interpretare le scelte educative delle singole famiglie», di cui ha parlato Benedetto XVI.
Fra pochi giorni ci sarà il previsto incontro fra il nuovo premier ed il Santo Padre, che ribadirà sicuramente quanto detto davanti ai Vescovi italiani. Vorrà, il Presidente del Consiglio, dare ascolto (ed attuazione) alle indicazioni di chi, «nel quadro di una sana e ben compresa laicità», desidera offrire un contributo fondamentale al chiarimento e alla soluzione dei maggiori problemi sociali e morali dell’Italia e dell’Europa di oggi?