Sei miliardi di euro è quanto lo Stato risparmia sull’istruzione grazie agli studenti che frequentano le scuole private. Tale dato costringe a ripensare alla clausola contenuta nel comma 3 dell’articolo 33 della Costituzione che, come è noto, impone che la scuola privata debba essere istituita “senza oneri per lo Stato”. Essa era già stata letta come un inciso volto solo ad escludere l’intervento statale nella fase istitutiva della scuola privata, ma che non ostacolava – come del resto normalmente avviene – l’intervento dello Stato o di altri enti pubblici a sostenerne il funzionamento. Altri hanno sostenuto che oneri per lo Stato sarebbero consentiti solo nella fase gestionale, mentre per altro orientamento ancora i contributi statali alle scuole private sarebbero legittimi, purché mantenuti nei limiti di quella riduzione di spesa (6 miliardi di euro, appunto) di cui lo Stato si verrebbe ad avvantaggiare in conseguenza della diminuzione del numero di alunni delle scuole non statali e per i quali, diversamente, si sarebbe dovuto impartire l’istruzione gratuita o a prezzo politico.



Al momento presente, i tempi sono maturi per ripensare alla normativa costituzionale in una nuova prospettiva: in un sistema scolastico moderno ed efficiente il problema su cui riflettere non è tanto la provenienza dei finanziamenti, quanto che l’insieme degli investimenti pubblici a sostegno del capitale umano sia ripartito in modo equo e che essi producano i risultati attesi. La parità scolastica, infatti, comporta che siano ristrutturate le logiche che sottostanno alla distinzione tra pubblico e privato per accedere a nuove logiche e a nuovi principi, tra cui primeggia il principio della libertà di scelta, già adombrato in sede costituente.



È per questo che, oggi più che mai, occorre riportare alla ribalta una lettura della clausola in esame volta essenzialmente a tutelare le libertà su cui si fonda il sistema scolastico: la libertà di scelta di studenti e famiglie come valore ideale e come principio di efficienza e la libertà di insegnamento volta a promuovere il pluralismo culturale ed educativo, coerentemente con i principi del pluralismo educativo e delle due libertà nella scuola e della scuola dettati dalla Costituzione. La clausola in esame costituirebbe pertanto un baluardo a presidio e difesa di tali libertà, che verrebbero pregiudicate se lo Stato, tramite un uso distorto della leva finanziaria, finisse, assumendosi oneri improduttivi, per gestire e controllare tutte le scuole, non solo statali, ma anche non statali, quasi che queste ultime (ma anche le prime) agissero nell’ambito di un regime di concessione amministrativa.



Ciò comporta, in concreto, che tutti devono essere liberi di istituire scuole, senza che questo comporti un “onere” per i pubblici poteri, cosicché il sistema scolastico possa configurarsi come un insieme di enti che forniscono il servizio educativo in modo articolato e plurale. Se poi lo Stato stesso o le Regioni si attivano per fornire a studenti e famiglie provvidenze finanziarie volte ad attenuare o rimborsare in toto le spese per l’istruzione, ciò non può essere considerato una violazione più o meno surrettizia della clausola costituzionale citata, ma costituisce invece la modalità concreta con cui l’ente pubblico svolge la sua funzione sussidiaria di sostegno al libero esercizio da parte dei cittadini dei loro diritti fondamentali e sociali, quale è quello di procurarsi un’istruzione adeguata.

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