La macchina scolastica italiana va revisionata. È una verità, forse scomoda, ma tale rimane. L’intervento di razionalizzazione delle risorse previste nel DPEF 2008-2011, operativo a partire dal 25 giugno scorso, si può considerare un atto dovuto, in quanto troppo si è sprecato negli anni precedenti, con pochi obiettivi raggiunti, se non quelli di aumentare in maniera spropositata il personale.
Ben lontana la nostra scuola dai parametri fissati dalla strategia di Lisbona per il 2010. Rimangono elevati i tassi di abbandono scolastico (la percentuale di giovani tra i 18 e 24 anni con un titolo di istruzione secondaria inferiore è in Italia al 20,6 % contro una media europea del 15,1 % e un obiettivo di Lisbona del 10,0 %) e le rilevazioni internazionali fanno registrare i risultati inferiori alla media europea in termini di conoscenze e competenze dei quindicenni italiani.
Questi gli esiti di politiche scolastiche che in questi anni hanno investito molto nell’assunzione di personale docente e non docente, allo scopo, anche questo mancato, di risolvere il problema del precariato, ma con il risultato di abbassare la media degli studenti per docenti rispetto a quella europea e nel contempo di far crescere enormemente la spesa per il personale.
È una necessità dunque che l’ammodernamento della scuola italiana passi attraverso le forche caudine delle esigenze imposte dall’economia, ma la sua riqualificazione non può dipendere solo da questo e ridursi a un freddo discorso di tagli di investimenti e di riduzione del personale.
Il rischio è di innescare uno scontro duro tra governo e sindacati, ma soprattutto di perdere di vista il senso più profondo della sua mission e di ciò che in termini di crescita culturale, personale, sociale e professionale restituisce, come servizio pubblico, alla comunità.
Il piano di ristrutturazione prevede una serie di azioni, dal compimento dell’autonomia all’attuazione dell’obbligo scolastico, tutte convergenti al rafforzamento dei sistemi di misurazione e valutazione dei risultati dei diversi fattori interni ed esterni alla scuola, in modo da offrire alle singole istituzioni scolastiche strumenti concreti per migliorare i livelli di apprendimento.
Ma poiché la qualità dell’apprendimento è strettamente correlata alla qualità dell’insegnamento, il raggiungimento di questi obiettivi deve passare necessariamente attraverso la riqualificazione della professione docente. Professione attualmente appiattita, svalorizzata, considerata parassitaria ed equiparata quasi ad un adempimento di tipo burocratico-amministrativo. Anche lo studio di Bankitalia e del Ministero dell’Istruzione ci restituisce oggi una immagine degli insegnanti, purtroppo non lusinghiera: demotivati, stanchi, sfiduciati, troppo vecchi e impreparati. L’apparente privilegio di un orario di servizio, considerato alla stregua di un mezzo servizio e che in ogni caso non tiene conto del sommerso, come la preparazione personale, l’aggiornamento e la correzione delle verifiche, ha fornito l’alibi al momento della contrattazione per non adeguare lo stipendio ai parametri europei, creando disagio e frustrazione tra i docenti e contribuendo ad abbassare la percezione del ruolo culturale dell’insegnante in una società che ha imparato a dare importanza solo a ciò che vale in termini economici.
L’attenzione quindi deve rivolgersi sia agli aspetti intrinseci della professione (le discipline, il metodo, la didattica) sia a quelli estrinseci (status giuridico, carriera, stipendi) per ritrovare motivazioni che diano la spinta e lo slancio necessari a svolgere in modo attivo un compito di grande responsabilità.
Diventa quindi improrogabile affrontare il problema di come valorizzare la professione docente, sia nella questione della formazione iniziale e in itinere, sia nella diversificazione dell’inquadramento giuridico e retributivo, introducendo il principio di progressione di carriera, in relazione alle professionalità e competenze maturate, non scisso da un’azione di valutazione del servizio.
È solo accettando questa logica e camminando in questa direzione che i tagli, se pur dolorosi, potranno essere compresi nel difficile e complesso mondo della scuola.