Senatore Rossi, lei, da economista del Pd, interviene oggi al Meeting sul tema dell’università: qual è a suo modo di vedere la correlazione tra miglioramento del sistema universitario e sviluppo economico? 

La correlazione è fortissima: l’università è uno dei luoghi dove si produce innovazione, dove un paese dimostra di essere in frontiera. È il centro, il cuore di un vero sistema-paese. Ricordo come alcuni statisti del nostro tempo si siano qualificati per il fatto di porre al centro l’università: Clinton lo disse quando accettò la seconda candidatura, e soprattutto ricordo atti veramente rilevanti dell’operato di Tony Blair sul tema università. 



Oggi si parlerà di abolizione del valore legale della laurea, un provvedimento efficace se unito a una seria valutazione degli atenei: come attuare ciò? 

Il punto di partenza per ottenere questo è il provvedimento in materia di università adottato dal governo, cioè la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni. Questa scelta è veramente positiva, e io già mi ero esercitato con un provvedimento simile. Partendo da qui si può far fare un vero salto, creando quella comparazione fra diverse modalità organizzative che oggi non c’è. Ora i docenti universitari sono scelti con le modalità di cui conosciamo tutti i limiti, perché l’ingerenza del ministero è amplissima, e l’autonomia pochissima. La norma è dunque potenzialmente di grande rilevanza. Il problema è che, così com’è, è destinata a rimanere solo a un livello potenziale. 



Cioè? 

Il problema è che la modalità con cui è stata inserita nel decreto la vanifica. Ha un senso se si modifica il finanziamento universitario: non finanziare gli stipendi dei docenti, ma, almeno per le università che scelgono di trasformarsi in fondazioni, finanziare gli studenti con un programma articolato di borse di studio, che al momento in Italia non c’è assolutamente. Questo non è stato fatto, e quindi rientriamo nel solito problema per cui nel nostro paese si fanno riforme che si rivelano in realtà non-riforme. Abolizione del valore legale e valutazione vanno bene se c’è un cambio a monte: il sistema universitario deve consentire una comparazione tra università, tra privato pubblico, dove la singola università prende i docenti che vuole, stabilisce le rette, si organizza autonomamente. A quel punto posso comparare due modalità organizzative e scegliere liberamente. E così, tra l’altro, si porrebbe fine alla retorica secondo cui l’università italiana in fondo non è male. 



Mi pare di capire che lei non condivida la protesta dei rettori contro la manovra economica. 

Non condivido affatto la reazione dei rettori. E mi permetto di dire che ascoltare la conferenza dei rettori a proposito di università è come ascoltare il notariato a proposito delle professioni. È un vero e proprio organico corporativo. Legittime  le opinioni che esprimono, spesso anche apprezzabili; ma si tratta di un organo non solo di parte, ma realmente corporativo. E quel che è grave è che i ministri danno ascolto in maniera esclusiva proprio a questo organo. 

A parte l’atteggiamento corporativo, c’è però una critica di merito sui tagli indifferenziati, a prescindere da una valutazione su come gli atenei in questi anni hanno gestito i finanziamenti: cosa ne pensa? 

Io condivido l’argomento dell’inefficienza dei tagli lineari, perché non ottengono l’effetto voluto. In astratto dunque condivido nel merito la critica. Ma il punto è un altro: cosa significa dire adesso che bisogna premiare i migliori? Per dirlo ci deve essere una reale disomogeneità, perché se non c’è libertà non è possibile capire chi si è comportato meglio. Si lasci il sistema libero, e solo a quel punto potremo vedere chi merita e chi no. La difesa corporativa consiste nel fare in modo che il grado di disomegeneità sia ridotto, per far sì che la distribuzione dei finanziamenti non sia differenziata.