Nel bel mezzo delle polemiche italiane sul taglio della spesa e sul calo di qualità ed efficienza che ne deriverebbe per la scuola italiana, arriva per l’ennesima volta l’ennesimo messaggio OCSE che ribadisce quanto già da tempo in quella sede sostenuto, cioè che in Italia si spende troppo per ottenere troppo poco. Ed è notorio che il mondo OCSE nel campo dell’istruzione è molto vicino all’orientamento della pedagogia europea di tipo tradizionalmente progressista.



Tempo fa questo messaggio sarebbe stato considerato eretico; ora è rimasto tale per quella parte del mondo politico e soprattutto sindacale italiano che soffre su questo, come su altri terreni, di un gap temporale.

A lungo, nel periodo di grossi investimenti sull’istruzione realizzati nel mondo industrialmente avanzato dopo la seconda guerra mondiale, si è pensato che ad un incremento di investimenti dovesse automaticamente seguire un innalzamento degli apprendimenti.



Invece pare che la realtà sia più complessa. Per uscire dal sottosviluppo, dalle classi di 40 allievi, da scuole inesistenti o disastrate, da maestri con pochissimi anni di studi, dalla mancanza completa di attrezzature, gli investimenti servono. È questa la situazione dei paesi non – OCSE che si trovano in fondo alla classifica PISA soprattutto dell’America Latina (l’Africa vede solo qualche sparuta partecipazione della zona magrebina e dell’Asia sono presenti solo le tigri asiatiche)

OCSE cita l’esempio virtuoso della Corea che, in cima alle classifiche PISA da tempo, è uscita dal sottosviluppo senza cadere nello spreco, anche in grazia della propria tradizione ed attuale temperie culturale.



Oltre un certo limite infatti sembra proprio che i meccanismi automatici non operino più in modo certo, perché interviene la mediazione culturale, il peso degli stili di vita, delle ideologie e del sistema dei valori prevalenti in una società.

Fra classi di 25 e classi di 12 alunni c’è chi sostiene addirittura siano più efficaci le prime, per una serie di ragioni sostanzialmente relazionali che sarebbe qui lungo elencare.

La presenza di attrezzature informatiche è ininfluente, se queste restano accumulate in cantina o se vi si avvicinano pochi iperspecialisti. Durante la rilevazione italiana di PISA 2006 i centri internazionali di analisi hanno richiesto un controllo delle risposte dei presidi italiani che avevano denunciato un parco macchine superiore a quello di qualsiasi altro paese. I risultati negli apprendimenti degli studenti non sembravano, a chi trattava i dati, congruenti con un tale investimento. I presidi avevano risposto proprio così: non sanno contare o non hanno le condizioni per utilizzare?

Sarebbe parimenti interessante effettuare una rilevazione sul livello di utilizzo dei laboratori linguistici e scientifici che non mancano nelle scuole italiane.

È stato sostenuto che i cattivi risultati del Sud sono conseguenza di una carenza nelle strutture anche edilizie e tuttora qualche centrale sindacale invoca interventi di sostegno su questo terreno. Ma usciamo tutti da decenni in cui i finanziamenti per le scuole non sono stati certo squilibrati a favore del Nord; siamo sicuri che ci sia fra i due fenomeni un rapporto di causalità e non di parallelismo?

Il problema di un migliore utilizzo della spesa riguarda in modo duplice la trattazione della delicata questione dei docenti. Non si tratta solo di diminuirne il numero per poterli pagare di più, ma anche di creare delle condizioni incentivanti per potere gestire e sfruttare adeguatamente gli investimenti in strutture ed attrezzature che vengono effettuati.