C’era da aspettarselo: le scuole aprono e il clima subito s’incendia. L’agitazione dei docenti, soprattutto alle elementari, non ha aspettato un attimo per manifestarsi, e la particolarità di alcune di queste proteste non ha mancato di far discutere. La politica non sta a guardare: il Pd in particolare vuole apertamente farsi portavoce di questa opposizione di piazza contro il governo e in particolare contro il ministro Gelmini. Una posizione sbagliata, secondo Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti a La Sapienza e già deputata Ds, che rischia di identificare il Pd con le posizioni più di retroguardia sul tema scuola.



Professoressa Mancina, l’inizio d’anno scolastico è stato letteralmente “funestato” dalla protesta che era stata annunciata e che è stata messa in atto: alcune maestre sono entrate in classe il primo giorno di scuola vestite a lutto. Cosa ne pensa?

Non sono assolutamente entusiasta di questo tipo di protesta: un tale atteggiamento il primo giorno di scuola mi pare che vada un po’ oltre la legittima espressione di una posizione politica e sindacale. Fatta salva la legittimità di questa posizione, mi pare però che ci sia la tendenza da parte degli insegnanti a mischiare la dimensione del rapporto sindacale con la dimensione del lavoro, che è invece cosa ben diversa. Tanto più questo discorso vale per il primo giorno di scuola, che dovrebbe essere un momento minimamente solenne, vista la presenza anche di bambini che arrivano in classe per la prima volta.



Al di là della forma sicuramente eccessiva, cosa pensa invece del contenuto di questa protesta?

Non ne condivido nemmeno il contenuto. Il significato del lutto è chiaro: stanno uccidendo la scuola. Io invece non ritengo affatto che si stia uccidendo la scuola: si può essere in disaccordo con le misure messe in atto dal ministro Gelmini e con la reintroduzione del maestro unico, ma non mi pare che si possa parlare di un attacco mortale alla scuola pubblica.

Si pone allora un problema essenziale: fino a che punto è legittima l’opposizione sindacale, e quale dev’essere l’atteggiamento del governo di fronte a proteste che sembrano sfociare nell’irragionevolezza?



È una questione complicata, soprattutto per la scuola. Io penso, come tutti, che l’esecutivo anche per quanto riguarda la scuola debba trattare con i sindacati, perché la concertazione è ormai un’abitudine non di una parte soltanto, ma che riguarda l’attività di tutti i governi.

Certamente nel caso della scuola c’è una tradizione di posizioni molto rigide da parte dei sindacati, e questo naturalmente può rendere difficile il confronto. Io però mi sentirei anche di fare un rimprovero al ministro Gelmini: quando si interviene su settori così complessi dell’organizzazione pubblica, dove sono anche coinvolti valori e posizioni culturali, sarebbe bene far precedere tali interventi da una discussione pubblica. Questo è quello che accade negli altri paesi. È vero che da noi le discussioni avvengono spesso in maniera molto disordinata, ma un governo può anche darsi il compito di ordinare e di istruire questa discussione, e non lasciarla solo ai giornali e alla reazione  sindacale.

Non è certo solo la Gelmini però a doversi scontrare con i sindacati: anche Berlinguer quando tentò di introdurre il concetto di merito tra i docenti fu travolto dalle proteste.

Nel caso di Belringuer c’è stata forse più discussione, ma anche lì non abbastanza, proprio in particolare sulla questione del tentativo di introdurre la differenziazione per gli insegnanti. Obiettivo che per altro io ritengo non solo sacrosanto, ma realmente necessario per ridare un po’ di spinta alla scuola. Anche lì non c’è stata sufficiente discussione, ed uscirono messaggi confusi: sono cose che vanno fatte con prudenza proprio perché sappiamo quanto forti siano le resistenze. Bisogna avere al medesimo tempo più apertura e più decisione da parte dei governi quando si fanno questi interventi, proprio per evitare la saldatura tra pure e semplici resistenze conservatrici (purtroppo diffusissime in questi campo) con quelli che invece sono semplicemente gli effetti di una cattiva informazione, di una sorpresa, di una mancata consapevolezza di quali sono i problemi e le soluzioni negli altri paesi.

Lei critica le proteste d’inizio anno scolastico nel metodo e nel merito: eppure sembra che il Pd, e il suo leader in particolare, stiano dando molto peso a queste proteste. Come giudica questa posizione?

Io trovo che da molto tempo, diciamo dal parziale fallimento del progetto Berlinguer, il centrosinistra ieri e il Pd oggi si siano infilati in una posizione rivendicativa in cui non c’è nessun progetto di riforma della scuola, e in cui addirittura viene meno anche l’idea stessa che si debba cambiare qualche cosa; è infatti ovvio che una posizione puramente protestataria e rivendicativa rischia di essere unicamente una posizione di difesa della scuola com’è. Questo un partito serio di centrosinistra non dovrebbe permetterselo.

E questo, oltre a essere un problema di contenuto, potrebbe diventare anche un errore di strategia politica, nel caso in cui il centrodestra dovesse mettere in atto anche un parziale cambiamento della scuola?

Io sono molto scettica sulla possibilità di qualunque ministro di fare riforme, perché la situazione è quella che è, e francamente devo dire che anche la ministra Gelmini non sembra avere in mente un grande progetto: però quelle poche cose che finora ha detto sono questioni su cui per lo meno si doveva aprire una discussione, anziché respingerle in blocco. Detto questo, se qualche cosa si facesse, da parte di questo governo, si evidenzierebbe ancor di più la debolezza di un’opposizione che è capace solo di chiamare alla difesa della scuola com’è.

Quali dovrebbero essere secondo lei le priorità per ridare slancio alla nostra scuola e su cui è necessario un cambiamento?

Le priorità sono due. Innanzitutto gli insegnanti: la crisi della scuola è in primo luogo una crisi di identità degli insegnanti. Lì bisogna intervenire e ridare loro motivazione, e per farlo bisogna prima formarli meglio e poi introdurre la differenziazione dei ruoli e degli stipendi. Non è possibile che gli insegnanti siano l’unica professione nella quale si guadagna pochissimo tutta la vita e senza differenza tra persone brave che fanno il loro lavoro e persone invece che non hanno né una preparazione né un impegno sufficienti. Una cosa che per altro avviene in tutti i mestieri.

La seconda?

La scuola media: noi sappiamo ormai da molti anni, non solo dall’esperienza personale come insegnanti e come genitori, ma anche da molti segnali, come ad esempio i risultati delle rilevazioni internazionali, che il vero buco, il punto debole dell’intero ciclo scolastico italiano è la scuola media. Lì dunque bisogna intervenire. Questo solo per parlare delle priorità: ma ci sarebbero altre cose molto importanti, come ad esempio accorciare di un anno il complesso degli anni di scuola. All’inizio, alla fine o in mezzo, come era il progetto di Berlinguer, che sostanzialmente toglieva un anno di medie: sta di fatto che i nostri ragazzi rispetto ai loro coetanei degli altri paesi europei escono dall’università un anno dopo.