I dati resi noti attraverso la pubblicazione dello stato di previsione del Bilancio del Ministero dell’Istruzione per l’anno finanziario 2008 (www.istruzione.it) non costituiscono, purtroppo, una sorpresa.
Già si sapeva che il costo complessivo dell’istruzione nel nostro Paese è elevatissimo, (circa 43 miliardi di euro, senza contare gli apporti da altri ministeri e pubbliche amministrazioni), impegnato quasi esclusivamente in spese correnti e, solo in piccolissima parte, (anomalia tutta italiana) in spese in conto capitale; come del resto si sapeva –ed è sempre più sotto gli occhi di tutti- che il rapporto tra costi e benefici del sistema scuola italiano è ampiamente negativo, poiché il costo effettivo per alunno della scuola statale è molto elevato a fronte di risultati tutt’altro che incoraggianti. Come ha acutamente riconosciuto il Ministro Gelmini in una recentissima intervista a Radio City, su Radio RAI 1, il 97% del bilancio del Ministero è speso in stipendi di basso livello, “e una scuola che spende il 97 % delle risorse in stipendi non ha futuro”.
In questo difficile contesto, occorre considerare con attenzione la ancor più difficile situazione della scuola non statale, alla quale è destinata una parte delle risorse economiche assolutamente irrisoria (circa l’ 1.6% della cifra destinata alla scuola statale) e sproporzionata rispetto all’incidenza degli studenti frequentanti le scuole paritarie sull’ammontare complessivo della popolazione scolastica italiana (circa il 10%).
Sarebbe davvero necessaria una riflessione leale nelle aule parlamentari, al fine di verificare la corrispondenza e la congruità tra costi sostenuti e i risultati conseguiti, come pure, a parità di servizi, tra il costo-alunno nella scuola statale e il costo-alunno nella scuola paritaria.
Anche perché il futuro della scuola italiana di cui ha parlato il Ministro, in realtà, è già presente: durante il suo intervento al Meeting di Rimini appena concluso, la stessa Gelmini ha riconosciuto la capacità di tante scuole paritarie di ottenere ottimi risultati con budget modesti.
Il Ministro, in ogni caso, non ha perso tempo. Il Decreto Legge 1° settembre 2008, n. 137, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo stesso 1° settembre 2008 al n. 204 e recante “Disposizioni urgenti in materia di istruzione ed università”, ha introdotto alcune interessanti novità. Ne citiamo alcune:
L’attivazione di “azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a Cittadinanza e Costituzione (Art. 1)
La valutazione del comportamento degli studenti (Art. 2)
La valutazione del rendimento scolastico degli studenti espressa in decimi (Art. 3)
L’insegnante unico nella scuola primaria (Art. 4)
Mentre i primi 3 articoli citati potranno piacere o non piacere ma non avranno un effetto dirompente nei collegi dei docenti, riteniamo che l’Art. 4 sarà il primo banco di prova reale per il nuovo Ministro. L’intenzione, infatti, di tornare al maestro unico nella scuola primaria (elementare), superando finalmente la logica corporativa e sindacale che ha contribuito ad affossare la scuola italiana in questi ultimi decenni, trova una sua piena giustificazione nell’esorbitanza delle spese correnti sostenute dal Ministero ed un positivo riscontro anche nell’esperienza educativa e didattica delle scuole primarie paritarie. Queste scuole, infatti, a causa dei magrissimi budget a disposizione, hanno realizzato esperienze di insegnamento di eccellenza con il minor numero possibile di docenti.
La razionalizzazione dei costi per ridurre gli sprechi e premiare il merito, quindi, dovrebbe tenere conto anche – e soprattutto – del merito delle scuole paritarie, che hanno finora garantito allo Stato italiano un risparmio enorme (circa 6 miliardi di euro all’anno) e, nel contempo, una istruzione di buona qualità per tantissimi alunni: è giusto che gli insegnanti siano pagati di più e in base al merito, ma questo è vero anche per le istituzioni scolastiche statali.
Il Ministro ha dichiarato l’intenzione di razionalizzare i costi, migliorare la qualità dell’insegnamento e favorire la libertà di scelta educativa delle famiglie, principio su cui ha giustamente insistito sin dal suo insediamento; per realizzare tutto questo occorre che si dia priorità alla valorizzazione della scuola paritaria. E si tratta di una reale urgenza: ogni anno chiudono numerose scuole non statali per difficoltà economiche e negli ultimi 15 anni il numero delle istituzioni scolastiche paritarie si è dimezzato! Non vorremmo trovarci, nel breve volgere di qualche anno, nella paradossale situazione di aver vinto la battaglia sull’affermazione del principio ma che non ci sia più neanche una scuola nella quale quest’ultimo possa effettivamente esercitarsi.