L’immagine dell’insegnamento delle scienze sperimentali che compare nei nuovi provvedimenti del Ministro Gelmini non è affatto rassicurante.

Vorremmo esaminare, come esempi, l’insegnamento della fisica nei licei e quello delle scienze integrate nel biennio dell’Istruzione Tecnica.

Per quello che riguarda i licei, nella Bozza di Regolamento e relativi allegati si legge quanto segue: «Il fine specifico dei percorsi dei licei è la theoría. Questo fine non esclude, né lo potrebbe per l’unità della persona umana e della cultura, la dimensione operativa».



Per quello che riguarda in particolare il liceo scientifico si afferma: «Il liceo scientifico approfondisce la cultura liceale nella prospettiva del rapporto fra la tradizione umanistica ed i saperi scientifici, sviluppa i metodi propri della matematica e delle scienze sperimentali, permette di individuare le interazioni tra le diverse forme del sapere. Rispetto al liceo Scientifico di ordinamento è molto più robusta l’area matematico-scientifica».



In realtà in tutti i licei, compreso quello scientifico, il monte ore settimanale della Fisica, quando c’è, è sempre di due ore. Questo comporta di fatto l’impossibilità di eseguire esperienze di laboratorio. La Fisica è ridotta, come e più che nella riforma di gentiliana memoria, all’apprendimento nozionistico di alcuni contenuti. La dimensione sperimentale, essenziale nell’apprendimento, è di fatto eliminata.

Non si può quindi che concordare con quanto afferma l’AIF in un documento dello scorso dicembre: «Nei licei scientifici, per caratterizzare un indirizzo veramente scientifico, non si vede come le ore di fisica possano essere inferiori a quelle di scienze o addirittura di latino. Se si vuole tenere conto dell’esperienza delle diffuse sperimentazioni Brocca e PNI, si vedrà che si possono ottenere risultati qualitativamente buoni a partire da un minimo di tre ore settimanali per cinque anni, da dedicare almeno per un terzo alle attività di laboratorio».



Il secondo esempio riguarda la proposta delle “scienze integrate”. L’approccio interdisciplinare, ci sembra, è il frutto maturo di un incontro di conoscenze disciplinari, non l’eliminazione delle discipline. Non è pertanto condivisibile l’atteggiamento, tipico di molti pedagogisti che non hanno mai insegnato una scienza sperimentale, di favore nei conforti di una interdisciplinarità “tout court”, senza tener conto che essa richiede come precondizione una conoscenza dei fondamenti delle singole discipline

Ci sembra utile a questo proposito citare passi del Documento congiunto che le principali Associazioni di Fisici e Chimici hanno inviato al Ministro. Tali associazioni «ritengono inadeguato il ruolo assegnato alle discipline scientifiche sperimentali dai regolamenti in approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, valutando che questa scelta neghi di fatto all’insegnamento scientifico la possibilità di svolgere un compito significativo nella formazione culturale degli studenti e impedisca alla scuola di dare ai cittadini gli strumenti idonei per assumere decisioni consapevoli in una società fortemente tecnologica quale la nostra», e «chiedono che nei nuovi quadri orario di Licei ed Istituti Tecnici e Professionali le diverse discipline scientifiche Fisica, Chimica, Scienze della Terra siano presenti come discipline a sé stanti e siano affidate a docenti specificamente preparati sul piano disciplinare (oltre che didattico/pedagogico) per il loro insegnamento; che esse siano inserite nel curricolo tenendo conto delle propedeuticità e attribuendo ad ogni materia un congruo numero di ore settimanali, anche in laboratorio – non facendone oggetto di taglio, ma di incremento e senza limitare lo studio di questo settore del sapere al solo biennio iniziale».

Certamente prese di posizione di questo genere possono prestare il fianco ad accuse di corporativismo e di una rivendicazione tesa a mantenere il proprio orticello. Tuttavia l’impressione è che il problema sia ancora una volta il riconoscimento della valenza educativa dell’apprendimento delle scienze sperimentali e quindi della sua importanza nei processi formativi: sembra proprio che prevalga una concezione della scienza ridotta a contenuti tecnici, di scarso valore culturale, ma necessari nella vita quotidiana, come saper guidare una automobile o far funzionare una lavatrice.