Ho seguito sulle pagine del Sussidiario la discussione sulla riforma della scuola secondaria e in particolare quella sull’insegnamento delle scienze integrate negli Istituti Tecnici.
Dalle ultime bozze in circolazione su Internet ho visto con piacere che certe giuste preoccupazioni sono state recepite dai relatori ministeriali, in quanto, nell’ultima versione, la disciplina “Scienze integrate” prevede esplicitamente il 50% delle ore insegnate dal Docente laureato in Fisica e l’altra metà impartite dal Docente laureato in Chimica. Come ci ha insegnato l’esperienza dell’insegnamento del “Laboratorio di Fisica e Chimica” nel biennio del liceo scientifico tecnologico (corso sperimentale del progetto Brocca) è possibile predisporre un percorso di Fisica e di Chimica che proponga ai ragazzi un approccio più unitario alla realtà senza frapporre subito le barriere disciplinari. Temi ad esempio come quelli della materia e dell’energia si prestano benissimo ad essere affrontati da punti di vista diversi che tuttavia si completano a vicenda. Quindi ben vengano, a livello di programma e di percorso didattico, le Scienze integrate. Ma chi sarebbe in grado oggi di insegnare la disciplina “Scienze integrate”? Ad esempio, un laureato in Scienze dei materiali potrebbe affrontare sia l’insegnamento della Fisica che quello della Chimica. Tuttavia questi tipi di laureati non fanno parte della classe docente di oggi: è quindi meglio per tutti che, attualmente e nei prossimi anni, l’insegnamento della Fisica venga affidato al laureato in Fisica e quello della Chimica al laureato in Chimica.
Da trent’anni a questa parte l’istituto tecnico industriale è cambiato, e anche i ragazzi che lo frequentano. Una volta nel biennio si insegnavano le materie teoriche di base, ad esempio la Fisica e la Chimica, per fornire le conoscenze basilari necessarie allo studio delle materie di indirizzo. In effetti nel biennio si riusciva a dare un bagaglio abbastanza organico e completo di contenuti che costituivano la base per il percorso successivo. Oggi non è più così: nei bienni dell’Istituto tecnico industriale si lavora in condizioni difficili sia per la scarsa preparazione con cui molti ragazzi giungono dalla Scuola Media sia, soprattutto, per la scarsa abitudine allo studio e al lavoro personale. E’ perciò impensabile immaginare che la formazione scientifica di questi ragazzi si limiti al percorso del biennio: bisognerà trovare delle forme per far sì che essa continui e si sviluppi anche nell’arco del triennio, pur rimanendo all’interno delle materie di specializzazione.
Un’ultima considerazione per quanto riguarda la bozza di quadro orario del Liceo scientifico. In questo caso più che di “riforma” bisognerebbe parlare di restaurazione. Speriamo che si possa aprire un dibattito che giunga a qualche concreta modifica. Tutti i corsi sperimentali di Liceo Scientifico attivati negli ultimi decenni non hanno proprio nulla da insegnare? In particolare, siamo proprio sicuri che l’esperienza del Liceo Scientifico Tecnologico Brocca sia da sopprimere e non abbia niente da insegnarci?
Mi riferisco in particolare all’insegnamento delle scienze sperimentali (Fisica, Chimica, Scienze e Biologia). Nel nuovo quadro orario non è predisposto nessun monte ore da dedicare effettivamente , cioè con attrezzature e personale adeguato, alla pratica di laboratorio. Si rimane nell’equivoco che muovere le mani (cioè la pratica di laboratorio) significhi disconnettere il cervello e che quindi in un Liceo tale pratica non possa trovare un posto di primo piano. E questo sta succedendo in Italia, cioè nel Paese che ha dato i natali a Galileo, a Fermi, a Marconi, ad Alessandro Volta .. per citare solo alcuni dei grandi scienziati del nostro passato. Forse non è ancora troppo tardi, ma occorre un po’ più di coraggio e di consapevolezza della domanda di educazione che proviene dai nostri giovani.
Antonia Poli
Docente di Fisica, Liceo Scientifico Tecnologico e ITIS Desio