Il nome Tuttoscuola è quanto di più familiare a chiunque operi nel mondo dell’istruzione. Ormai da trent’anni, infatti, non solo la rivista Tuttoscuola, con autorevolezza ed obiettività, aggiorna mensilmente (e ora quotidianamente nella versione on line) su tutto ciò che accade nella scuola italiana; ma produce anche una serie di speciali e dossier per affrontare in modo più dettagliato i punti più spinosi. È proprio di questi giorni, tra l’altro, l’uscita in edicola dell’ultimo sforzo della rivista: la guida “La nuova scuola”, per indirizzare le famiglie verso la scadenza del 28 febbraio per la scelta della scuola a cui iscrivere i propri figli il prossimo anno.



Orazio Niceforo, redattore di Tuttoscuola, docente di “Sistemi scolastici contemporanei” nell’Università di Roma Tor Vergata, nonché autore di molte pubblicazione sul tema scolastico, ha accettato di dialogare con ilsussidiario.net su uno dei temi più importanti su cui si è aperto questo nuovo anno: il piano di riordino delle superiori, approvato dal Consiglio dei ministri appena prima della pausa natalizia, ma la cui applicazione è stata rinviata di un anno con la dichiarata intenzione di lasciare spazio ad un ampio dibattito nel mondo della scuola.



Professor Niceforo, qual è la vostra opinione sul piano del ministro Gelmini per le scuole superiori?

Intanto dobbiamo constatare che per l’anno 2009-2010 non succede nulla, perché tutto è stato rinviato all’anno successivo. In particolare poi non succede nulla sul versante dell’istruzione professionale, che era uno dei punti di incertezza. Il ministro ha deciso da questo punto di vista di confermare il modello De Toni, che mantiene esplicitamente gli istituti professionali in capo all’organizzazione generale del sistema scolastico: viene dunque abbandonato definitivamente il modello Moratti e mantenuto il modello Fioroni. Per quanto se ne sa (per ora ci sono solo bozze di regolamento con relativi piani orari) la differenza tra tecnici e professionali insisterebbe non tanto sulla struttura curricolare quanto sulle competenze, sulla collocazione del diplomato all’interno del mondo del lavoro. A noi questa è sembrata una scelta penalizzante per gli istituti professionali.



Quindi Tuttoscuola ha riserve su questo piano?

Noi, come rivista, riteniamo prioritario dare un’informazione corretta ai lettori, e non dare giudizi. Però è naturale che un’opinione ce l’abbiamo. Quindi dico che la mia opinione è che questa emarginazione sociale e socio-culturale dei professionali rappresenta un limite. Capisco che il ministro debba fare i conti con certe richieste e sollecitazioni che vengono da ambienti diversi; ma questo non cambia il giudizio. Aggiungo che è uscito ora un voluminoso numero degli Annali dell’Istruzione, dedicato ai lavori della commissione De Toni: lì si trovano vari tentativi di giustificare questa distinzione tra istituti tecnici e istituti professionali. Se dovessi dire che mi hanno convinto direi una falsità.

Quale sarebbe stata di preciso la collocazione dell’istruzione tecnica nel doppio canale della Moratti?

Innanzitutto una precisazione sul modello Moratti. La Moratti ha avuto due tempi: un primo tempo in cui puntava veramente su un modello binario, con due canali di pari dignità. In questa fase il progetto era quello di fare due sistemi, limitando l’area liceale ai veri e propri licei. Il che significa che dell’istruzione tecnica si sarebbe potuto mettere nell’area liceale un solo profilo, di fatto già licealizzato, della vecchia istruzione tecnica industriale, e uno della vecchia istruzione tecnica commerciale: ecco allora il liceo tecnologico e il liceo economico. Quando però si è formulata la legge 53 questo impianto iniziale è stato tradito: creando le articolazioni in indirizzi per seguire le esigenze del mondo del lavoro, si è arrivati a far crescere a dismisura questi licei, fino ad arrivare a coprire quasi per intero l’area occupata dai vecchi istituti tecnici. Se si fosse invece rispettato il modello iniziale, i tecnici insieme ai professionali sarebbero confluiti nel secondo binario del sistema, dove il primo era costituito dai licei. Così facendo l’istruzione tecnica superiore, in uscita dal secondo canale, sarebbe stata veramente molto competitiva.

Cosa fermò questo progetto?

Dal momento che il progetto prevedeva anche una riduzione a quattro anni delle superiori (mentre Berlinguer aveva tagliato dal basso, la Moratti, secondo me giustamente, aveva tagliato dall’alto), allora insorse un partito trasversale in difesa del liceo classico, dicendo che non poteva essere ridotto a quattro anni. Inoltre, in base anche a spinte provenienti dal mondo imprenditoriale, si moltiplicarono gli indirizzi del liceo tecnologico, portando dunque alla licealizzazione dell’istruzione tecnica. Tutto ciò ha ammazzato il secondo canale, dove sono rimasti, sostanzialmente nella terra di nessuno, gli istituti professionali.

Ma non le pare che nel doppio canale gli istituti tecnici sarebbero stato un po’ sviliti?

Tutt’altro: se si fosse fatto il doppio canale, uno comprendente gli istituti tecnici e professionali (non dimentichiamo che la legge Bersani parla di istituti tecnico-professionali) ci sarebbe stata una soluzione forte in grado di dare un ruolo molto importante a ciascuno dei due canali. Non sarebbe certo stato un di meno. L’unico svilimento che c’è è quello, ora, a danno degli istituti professionali. Bisogna anche dire che su tutto questo ha giocato un ruolo importante anche la questione dell’attuazione del Titolo V della Costituzione e della competenza delle Regioni. Mondo imprenditoriale e burocrazia ministeriale hanno temuto che le Regioni non fossero in grado di gestire un settore così organizzato e forte come quello dell’istruzione tecnica. Ecco perché è necessario che si arrivi a un modello federale consensuale, con un accordo generale delle parti in campo.

Che cosa deve fare la politica per rilanciare il nostro sistema scolastico?

Se guardiamo la storia della scuola italiana degli ultimi dieci anni ci accorgiamo che i progetti elaborati contenevano tutti delle contraddizioni: quello di Berlinguer era un modello “panlicealista”; quello della Moratti era positivo sulla carta, ma poi si è concretizzato in modo squilibrato, convogliando il 90% nel sistema scolastico; di Fioroni e della Gelmini abbiamo già detto. Quindi non c’è stato da parte di nessuno un disegno chiaro e condiviso, capace di dare prospettive di lungo respiro. Quello che invece bisognerebbe fare è trovare un accordo su alcune grandi cose, da fare chiunque salga al governo. Sul modello di quello che è successo in America con il progetto “No child left behind”: una legge condivisa, portata avanti dall’amministrazione Bush, e che ora proseguirà con l’avvento dell’amministrazione Obama. Questo è un modello che la politica italiana dovrebbe seguire.

Un’ultima domanda su un tema spinoso: la parità scolastica. Finora abbiamo parlato di scuole superiori, e qui il peso delle scuole paritarie è quasi nullo. Si può iniziare a parlare del tema della parità come occasione generale di rilancio generale del sistema?

Questo è un tema complesso, che è sempre stato ed è tuttora fonte di scontri. Il mio personale parere è che l’Italia, soprattutto su questo aspetto, dovrebbe imparare a guardare avanti anziché rimanere attaccata a schemi del passato. Io ho sostenuto più volte che la Costituzione non vieta il finanziamento alle scuole non statali: la Costituzione prevede solo che lo Stato non ne abbia l’obbligo, ma ne ha certamente la facoltà. Questo ad esempio emerge molto chiaramente dai lavori dell’Assemblea Costituente. Comunque, visto che certe contrapposizioni ideologiche rimangono e mi sembra difficile arrivare in breve tempo a una modifica della Costituzione materiale, si potrebbe a mio avviso uscire dall’impasse attraverso due strade. Innanzitutto destinando una quota del finanziamento globale all’incentivazione dell’innovazione e della qualità, da chiunque tale obiettivo venga perseguito: essendo evidentemente una cosa di interesse nazionale, ed essendoci la legge sulla parità, è chiaro che tali finanziamenti dovrebbero riguardare in pari misura tutto il sistema. L’altra strada è quella del diritto allo studio, e passare dunque attraverso le famiglie, come già la Costituzione prevede, per avere soglie di accesso più ampie. Queste potrebbero essere due strade che portano novità su questo versante.