Intitolato ITALIA 2020 – Piano di azione per l’occupabilitá dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro, preceduto da una citazione dell’Enciclica Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI: «L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale», il Documento presentato il 23 settembre dai Ministri Mariastella Gelmini e Maurizio Sacconi tenta il volo del medio-periodo rispetto alle urgenze e alle ristrettezze finanziarie del presente. Il principio-guida è quello dell’integrazione tra sistema educativo e formativo e mercato del lavoro e delle professioni.
Si richiama alla Legge Biagi e «ai diversi interventi di riforma in atto della Scuola e della Università, ancora oggi largamente inesplorati nelle loro enormi potenzialità e accolti con spirito conservatore, se non ideologico, a causa di una concezione vecchia, ma assai radicata, dei modelli educativi di istruzione e di formazione, che porta ancora a vedere nella scuola e nel lavoro due mondi alternativi e inesorabilmente separati”.
Gli obbiettivi di intervento previsti dal Documento sono sei: 1. Facilitare la transizione dalla scuola al lavoro; 2. Rilanciare l’istruzione tecnico-professionale; 3. Rilanciare il contratto di apprendistato; 4. Ripensare l’utilizzo dei tirocini formativi, promuovere le esperienze di lavoro nel corso degli studi, educare alla sicurezza sul lavoro, costruire sin dalla scuola e dalla università la tutela pensionistica; 5. Ripensare il ruolo della formazione universitaria; 6. Aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro.
Rispetto alla mole di analisi e all’esteso ventaglio di proposte, che stanno dietro all’elaborazione programmatica, ne scegliamo qui alcune dal lato del sistema formativo ed educativo. La prima concerne la mobilità degli studenti universitari. La moltiplicazione delle sedi universitarie sotto casa «comode logisticamente e generose nelle valutazioni formali» ha finito per dequalificare l’offerta.
Il Documento propone di ampliare la disponibilità di borse di studio e residenze legate al merito e di predisporre strumenti di finanziamento agli studenti che vogliono investire sul proprio futuro. Insomma: una politica del diritto allo studio più capillare e più meritocratica, molto simile a quella americana, centrata sull’autoimprenditorialità giovanile e perciò sulla responsabilità individuale.
Una seconda proposta riguarda l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
Scritta ripetutamente nei programmi elettorali e là abbandonata alla critica roditrice dei topi, qui viene per la prima volta energicamente ripresentata e motivata nell’unico modo possibile: il valore legale dei titoli di studio «ha dimostrato di non poter garantire la qualità e la differenziazione dei percorsi formativi». Questo fatto rende molto difficile anche «sradicare i diplomifici» di scuola secondaria superiore e di laurea. Per questo, al valore legale del titolo deve gradualmente sostituirsi la logica dell’accreditamento dei corsi, valutati per la loro capacità di offrire una preparazione di alto livello qualitativo coerente con i bisogni della persona, dell’economia e della società. Solo così sarà possibile sostituire, a una certificazione puramente formale, il riconoscimento della qualità sostanziale dei corsi, attraverso la effettiva valorizzazione della autonomia didattica delle scuole e degli atenei. L’abolizione del valore legale, che «deve essere discussa in Parlamento», dovrebbe interessare nel medio periodo solo le università.
Una terza proposta riguarda il ruolo delle scuole e delle Università nel costruire servizi di orientamento al lavoro, di career service, di placement, di intermediazione tra giovani e società. Qui sarà battaglia dura, perché il pregiudizio ideologico della sinistra è molto forte e fa egemonia nelle scuole e nelle Università: la ricerca e lo studio devono essere “disinteressati”, non mischiarsi con i processi produttivi, con l’economia, con il lavoro. Forse il sociologo di Treviri si rivolta nella tomba. Non così Giovanni Gentile, che è palesemente il maggior riferimento culturale della sinistra ideologica e statalista. In questo contesto si rilancia l’alternanza scuola-lavoro, caduta nel dimenticatoio di Fioroni. Così anche istituti della riforma Moratti quali il tutor, il portfolio – e il Libretto formativo del cittadino, proposto dalla legge Biagi – il piano di studi personalizzato, il riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, i percorsi di studio flessibili e personalizzati. Ma il cuore della proposta è quella del rilancio dell’istruzione tecnica fino al livello terziario, quale percorso autonomo, caratterizzato da un’identità diversa da quella del Licei e dell’istruzione e formazione professionale: percorsi non sovrapposti, ma integrati. Di qui l’importanza dei comitati tecnico-scientifici degli Istituti tecnici, che prevedono una composizione paritetica di docenti ed esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per la organizzazione delle aree di indirizzo e l’utilizzazione degli spazi di autonomia e flessibilità nella organizzazione della offerta didattica. Il Documento così riannoda i nessi della riforma della scuola, dell’Università, del mercato del lavoro, che si erano allentati nell’intervallo Fioroni.