La legge 3 maggio 1999 n. 124, avente come oggetto “Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico” aveva trasformato «le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, […] in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo» e aveva stabilito che: «Le graduatorie permanenti […] sono periodicamente integrate con l’inserimento dei docenti che hanno superato le prove dell’ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente all’inserimento dei nuovi aspiranti è effettuato l’aggiornamento delle posizioni di graduatoria di coloro che sono già compresi nella graduatoria permanente».
Da un lato l’incapacità strutturale dell’Amministrazione ministeriale di programmare in modo efficiente l’incontro tra la domanda di docenti da parte del sistema e l’offerta del mercato dei laureati, dall’altro la pressione costante dei sindacati, volta non ad assicurare il merito, ma più semplicemente a garantire i posti, aveva indotto il Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer alla disperata invenzione delle graduatorie permanenti. Nel frattempo, tuttavia, i corsi di Laurea in Scienze della Formazione primaria e le Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS) avevano incominciato a sfornare personale docente che, oltre a esercitare precariamente la professione – ricavandone un punteggio – dedicava un tempo specifico, a proprie spese, ad una preparazione maggiore. Pertanto questi docenti precari chiedevano di entrare nelle graduatorie permanenti all’altezza prevista dal loro esercizio precario e dai titoli di preparazione: inserimento a pettine. Inevitabilmente ciò avrebbe comportato un eventuale scavalcamento in graduatoria dei “precari storici”. I sindacati, che avevano sponsorizzato il marchingegno italico-pirandelliano delle graduatorie permanenti e che difendono da sempre solo i precari storici insorsero – siamo già al tempo di Letizia Moratti – come un sol uomo contro la pretesa dei “nuovi precari” di far valere il merito e si batterono perché fossero collocati in coda. Intanto le graduatorie permanenti sono state trasformate da Fioroni in “graduatorie ad esaurimento”. Ma questo non ha chiuso il problema, anzi. Contro questa prepotenza sindacale, silenziosamente accettata dall’Amministrazione, gruppi di precari hanno fatto più volte ricorso, ottenendo dal TAR del Lazio il ribadimento del criterio dell’inserimento a pettine. E arriviamo al 2009. Il Decreto Gelmini n.42 dell’8 aprile 2009, definendo i criteri dell’integrazione periodica biennale delle graduatorie permanenti stabilisce: «Ravvisata l’opportunità – in relazione alla necessità di garantire in tempi brevi l’esaurimento delle graduatorie in vista del nuovo sistema di reclutamento […] e al fine di favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato o determinato di tutto il personale interessato alla procedura di integrazione e aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento» di concedere «a detto personale di scegliere, senza cancellazione dalla graduatoria di appartenenza, per il biennio 2009/2011, ulteriori tre province in cui figurare in posizione subordinata (in coda)».
Su questa posizione – mettersi in coda – si era determinata, prima del Decreto, una singolare convergenza dei sindacati con la Lega. Collocare in coda in altre tre province può essere interpretata come un’offerta di nuove possibilità occupazionale ai precari, visto che alcune graduatorie andavano esaurendosi e in altre province la situazione poteva essere più favorevole. Quanto alla Lega, teme l’arrivo dei precari meridionali e lo sconvolgimento delle graduatorie preesistenti.
La preoccupazione non è peregrina; non tanto per la meridionalità – anche al Nord gli spostamenti da provincia a provincia riguardano comunque molti precari meridionali – quanto per lo sconvolgimento che ne deriva per la graduatoria e, perciò, tendenzialmente per la continuità didattica. Il Decreto Gelmini sembrava dunque siglare una sorta di pace politica (con la Lega) e sindacale (con i sindacati). A questo punto 75 precari dell’Associazione nazionale sindacale e professionale (ANIEF) hanno fatto ricorso al TAR del Lazio, che ha rotto la pax politico-sindacale-amministrativa. Finché le graduatorie hanno validità nazionale, anche se il reclutamento avviene su base provinciale, e finché una legge non stabilisca eventualmente degli Albi regionali – in questa direzione va il PdL Aprea n. 953, in discussione alla Camera – i precari hanno diritto all’inserimento a pettine: è un principio costituzionale che concorsi e titoli abbiano vigenza nazionale. Non si vede perché in una provincia si possa praticare l’inserimento a pettine e in altre tre quello “in coda”. E perciò il 13 luglio di quest’anno il TAR ha emanato l’ordinanza cautelare n. 2573, che sospende l’efficacia del Decreto ministeriale suddetto. Il MIUR, sorpreso in mezzo al guado delle operazioni per un inizio regolare del nuovo anno scolastico, per un verso ha emanato una circolare in cui invita gli Uffici periferici a procedere alla formazione delle graduatorie e alle nomine in ruolo e per supplenze annue, secondo quanto stabilito dal Decreto, senza tener conto dell’ordinanza del TAR, e per altro verso si è rivolto al Consiglio di Stato. Il quale però non ha accolto l’appello del MIUR.
Così il Ministero ha dovuto dare esecuzione all’ordinanza del TAR, disponendo l’inserimento con riserva dei soli 75 docenti ricorrenti in attesa della sentenza definitiva. Intanto il TAR ha rinforzato con una nuova ordinanza, la n. 4.581, le disposizioni di quella precedente, indicando persino il nome del Commissario ad acta, se entro 30 gg. non sarà attuata. Non è infatti detto che l’ordinanza debba limitare il suo raggio di efficacia ai soli 75 ricorrenti: potrebbe coinvolgere circa 15.000 precari, innescando un piccolo terremoto nelle graduatorie provinciali. La relatrice di maggioranza nella Commissione cultura della Camera, l’on. Pelino, propone ora, in accordo con il Ministro, un emendamento al Decreto Salva-precari, che trasformi in legge il dispositivo del Decreto di Aprile. Il che potrebbe far scattare un ricorso alla Corte costituzionale. Perché la questione-macigno è sempre la stessa: visto che graduatoria ha valore nazionale, a norma della Costituzione, non si può non riconoscerne la vigenza a livello locale. Se a Siracusa ho 40 punti in graduatoria, perché a Milano devo stare in coda a chi ha meno punti di me? Si può buttarla in politica quanto si vuole, ma qui sta il punto ineludibile. L’Amministrazione e i sindacati non possono ricorrere a qualche trucco burocratico per aggirare i macigni della regionalità e del merito, che devono essere oggetto di iniziativa politico-parlamentare.