Dell’intervista al Sen. Valditara pubblicata da ilsussidiario, condivido la consapevolezza che qualunque ragionamento su una riforma del sistema scolastico non possa prescindere dall’esistenza di un numero considerevole di docenti nelle graduatorie. La scelta del Ministro Fioroni di trasformare queste graduatorie da permanenti ad esaurimento e il contestuale varo di un piano di assunzione di 150.000 precari nasceva proprio da questa consapevolezza. Purtroppo il governo tra i suoi primi atti ha cancellato quel provvedimento, ma “cosa fatta, capo ha” e dunque andiamo oltre.
La stessa intervista, infatti, purtroppo conferma che alcune preoccupazioni di chi si è opposto ai tagli di Tremonti non erano figlie di un pregiudizio ideologico: procedere in modo orizzontale (leggi “indiscriminato”) e per un numero così ingente di personale è stato innanzi tutto iniquo, inefficace per la necessaria razionalizzazione della spesa e soprattutto rischia di avere costi sociali enormi. A questo il prossimo anno si aggiungeranno gli effetti della riforma della scuola secondaria superiore, che, pur seguendo criteri di modernizzazione e di equità, viene oggi condotta con modalità e tempi che produrranno nuovo precariato.
La maggioranza si è fatta evidentemente due conti e si è resa conto di non poter mantenere la promessa fatta al Paese. Il centrodestra infatti aveva detto che – grazie ai pensionamenti – non ci sarebbero stati licenziamenti, ma “solo” un minor numero di supplenze annuali, ma così non sarà. Si prova quindi a correre ai ripari nel modo più semplice: aumentando il numero dei pensionamenti. Siamo di fronte al secondo caso di sottovalutazione del costo sociale dell’operazione risparmio voluta da Tremonti. Prima non si è agito per tempo sul fronte degli ammortizzatori sociali per i precari lasciati senza lavoro, nonostante si sapesse che questo sarebbe accaduto per lo meno dai primi mesi dell’anno, approvando in fretta e furia alcune norme “tappa buchi” nonché procedendo ad accordi con le Regioni che non fanno altro che spostare a questo livello istituzionale i costi dell’operazione. Ora arriva la proposta del Sen. Valditara, che spera così di salvare da una seconda figuraccia il Ministro Gelmini, che ha evidentemente sopravvalutato le capacità del suo collega con delega all’Economia di calcolare l’impatto occupazionale delle sue proposte.
Vi è poi una seconda considerazione che è di carattere politico più generale. Ancora una volta si preferisce far gravare sui costi del nostro malandato sistema previdenziale la necessità di contenere l’inevitabile calo di consenso per scelte sbagliate e impopolari. Mi appare un metodo molto simile a quelli in voga nella cosiddetta Prima Repubblica: dove sta la promessa innovazione? Chi scrive ha più volte denunciato, anche su queste colonne, l’inadeguatezza del sistema scolastico (caratterizzato ad esempio da tassi di dispersione incompatibili con un Paese moderno) e la necessità di razionalizzare la spesa, ma questo non può far velo al fatto che – malgrado il governo continui ad affermare il contrario – la spesa per l’istruzione in Italia rappresenta il 10% del PIL contro il 13% della media europea (si veda il rapporto OCSE 2009). In cifre assolute, non si spende dunque troppo, ma si spende innanzi tutto male.
In un quadro di riferimento di questo tipo, i giovani e le famiglie italiane non possono accettare di continuare a sentir parlare delle spese per l’istruzione come di un insopportabile peso, senza con ciò decretare la fine delle speranze di miglioramento basate sul merito di ciascuno. Quando si considererà davvero la formazione come ciò che determina il futuro del Paese e non la palestra degli annunci e delle demagogie?
Il Sen. Valditara ha dunque il merito di porre una questione reale fino ad oggi ignorata o sottovalutata dal governo, ma – oltre ai costi per la collettività di cui si è già detto – rischia di essere controproducente se verrà accolta dal Ministro Gelmini come una manna dal cielo per cavarla d’impaccio nel breve periodo. Se dovesse passare l’emendamento Valditara, se ne approfitti dunque per rimettere mano nel più breve tempo possibile ad una proposta complessiva, facendola finita con un insieme indifferenziato e disomogeneo di provvedimenti, finalizzati quasi esclusivamente a recuperare risorse. Bisogna avere il coraggio di riprendere quel dialogo che ad esempio aveva fatto fare importanti passi avanti al Pdl Aprea e che si era poi arenato con il pretesto dell’esame di dialetto. Bisogna avere il coraggio di mettere in campo una discussione aperta a tutto il sistema politico, l’associazionismo professionale e agli unici stakeholders fino ad oggi emarginati, se non esclusi: le famiglie, gli studenti, la società nel suo complesso. Un metodo applicato con successo nei grandi paesi avanzati quando si tratta di questioni cruciali per lo sviluppo del Paese e che mette al riparo dal farsi prendere la mano da esigenze contingenti (come i risparmi) e dai cambi di maggioranza sempre possibili in un sistema democratico.