Anche su ilsussidiario.net si è sviluppato un serio dibattito sulla proposta di introdurre l’ora di religione islamica a scuola avanzata sabato scorso ad Asolo dalla Fondazione Farefuturo per voce del Sottosegretario Urso. Il primo intervento qui è stato del Prof. Borghesi, che ha espresso alcuni dubbi sull’applicabilità della proposta, senza però negare il principio che «lo stesso diritto che la Chiesa reclama per sé, quello dell’insegnamento del cristianesimo cattolico nelle scuole italiane, non può essere negato ad un’altra posizione religiosa».



Sono seguiti un’intervista allo scrittore Marcello D’Orta e un intervento del Prof. Esposito al quale rimando per alcune considerazioni di natura culturale e filosofica dalle quali non si può prescindere se si vuole affrontare la questione evitando – uso le sue stesse parole – «sia la reazione compiaciuta di quanti, per motivi ideologici, ritengono questa proposta qualcosa di semplicemente dovuto agli immigrati nella nostra nazione e ai loro figli, sia la reazione contrapposta, ma simmetrica, di quanti si trincerano nella rivendicazione della nostra tradizione come esclusiva ed escludente tutto ciò che di fatto, volendolo o non volendolo, si sta innestando in essa». Evitando quindi qualsiasi pregiudizio positivo o negativo che sia.



Pregiudizio che invece – mi spiace rilevarlo – mi sembra sottostare alle parole di D’Orta. Egli – non so se coraggiosamente o involontariamente – ha peraltro clamorosamente smentito il Card. Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, che aveva autorevolmente affermato che i mussulmani «se scelgono di conservare la loro religione hanno diritto ad istruirsi nella loro religione». Secondo D’Orta le cose non stanno così in quanto non si vede perché «dovremmo contribuire con i nostri soldi a finanziare dei corsi per una religione nella quale non crediamo» e soprattutto perché a suo avviso si fa una migliore integrazione se si afferma il principio «per il quale quando si va in un paese straniero occorrerebbe un po’ dimenticare il paese dal quale si proviene» e «gli stranieri dovrebbero adeguarsi agli usi e ai costumi che trovano». Come dirò, sono contrario alla proposta Urso, ma per ragioni molto diverse da quelle di D’Orta, che trovo inaccettabili prima culturalmente che politicamente.



Partiamo allora dai punti di vista in campo, se possibile attingendo alle fonti. Farefuturo nel suo documento afferma quanto segue.

 

«Creare un clima favorevole all’apprendimento è la principale via per ottenere un processo di integrazione efficace. In quest’ottica si propone anche di valorizzare il ruolo positivo delle religioni all’interno di uno Stato laico, quale elemento importante nel processo formativo umano e culturale. La strada dell’insegnamento facoltativo delle religioni nelle scuole pubbliche, statali e non statali, che garantiscono la qualità dell’intero percorso formativo, è certamente preferibile alle presenza di scuole specifiche a fondamento religioso che nel nostro contesto rischiano di diventare alternative e contrastanti, fonte di esclusione e di contrasto».

Ci sono poi le già ricordate obiezioni “tecniche”, sulle quali non ho la competenza per intervenire, e altre di natura culturale e filosofica, ma ci sono anche obiezioni più politiche. Prendiamo ad esempio l’On. Andrea Sarubbi (Pd) che sul suo blog ha così commentato.

«Studiare l’Islam, dunque, mi va benissimo, ma a queste due condizioni: la prima, appunto, è che si dia il giusto peso all’incidenza delle singole religioni nella formazione della nostra cultura, così come avviene per le opere letterarie; la seconda è che si studino le varie religioni tutti insieme, e non divisi a seconda del credo di appartenenza, perché se no diventa davvero una caricatura del catechismo».

Dunque da un lato abbiamo chi sostiene che sia meglio un’ora di Islam piuttosto che consentire il diffondersi di scuole confessionali e dall’altro chi chiede di studiare le religioni “tutti insieme”.

Capisco il senso della proposta di Farefuturo e le buone intenzioni di alcuni di coloro che la sostengono, ma non credo che sia questa la strada per una buona integrazione. E non credo nemmeno che il punto sia esattamente quello sottolineato ad esempio dall’On. Sarubbi perché in realtà oggi l’ora di religione cattolica assomiglia troppo ad un’ora di catechismo. Non concordo con lui sul punto, ma Sarubbi coglie l’essenza della questione: l’integrazione non avviene consentendo ad ogni fede di avere la propria ora di religione, in quanto questo sì che sarebbe «fonte di esclusione», come paventato da Farefuturo.

Mi sembrano troppe cose messe lì per prendere tempo, per non affrontare la questione nella sua complessità. Un po’ come quando (e viste le motivazioni di Farefuturo, il paragone non è casuale) a Milano si propose di istituire classi di soli bambini mussulmani perché i genitori di quei bambini minacciavano di non mandare i loro figli a scuola. Anche allora si disse: meglio una classe di mussulmani in una scuola statale, piuttosto che una scuola confessionale.

Già allora la pensavo diversamente. Le scuole paritarie sono il contrario dei ghetti, perché impongono che i docenti siano reclutati e retribuiti come quelli delle scuole statali, impongono che nelle ore curricolari vengano svolti i “programmi statali”. Impongono – in sintesi – regole condivise, ma nel rispetto dell’autonomia didattica di ogni istituto. Per la comunità mussulmana istituire una scuola paritaria significherebbe accettare pienamente la sfida dell’integrazione, attraverso una delle possibilità che l’ordinamento italiano riconosce. Non a caso si parla di istituzione di scuole pubbliche non statali. Scuole pubbliche: più integrazione di così.

 

 

 

Se di riforma si deve parlare, si scelga la via maestra, consentendo ciò che è lecito (favorendo l’istituzione di scuole, ad esempio, ma non solo) e si vigili affinché le regole siano rispettate da tutti, ma dalla scuola statale siano esclusi gli insegnamenti confessionali, limitandosi ad un insegnamento curricolare obbligatorio dei fondamenti delle tre religioni monoteiste.

Con questo non voglio negare l’importanza delle questioni poste dal Prof. Esposito o dall’On. Sarubbi, ma se si vuole tenere nella giusta considerazione il fatto che la tradizione cristiana – come, in misura forse minore, quella giudaica – ha per la nostra cultura un peso significativo, le modalità possono essere altre. Spetta ai docenti di Storia, Lettere, Storia dell’Arte ecc. tenere nel giusto conto la rilevanza delle nostre comuni radici. Peraltro l’autonomia consente di gestire in modo virtuoso un percorso di questo tipo: c’è la possibilità di far intervenire “esperti” e questi potrebbero essere anche indicati dalla Curia, si potrebbe pensare ad alcune ore di co-presenza tra l’insegnante di Lettere e quello di Religione o qualunque altra soluzione si reputi efficace e adatta a raggiungere lo scopo.

È un segno di debolezza (per i cattolici, ma anche per lo Stato) pensare che serva un’ora apposita per preservare la religione cattolica o per favorire l’integrazione di chi proviene da paesi mussulmani.

Come se la religione – o, peggio, la cultura – fossero un Panda, che ha bisogno della Riserva.