Lo sport nazionale in Italia, si sa, è quello di parlare di cose che non si conoscono o che, perlomeno, si sono lette in modo superficiale. Anche nel caso del regolamento di riforma dei licei, approvato in prima lettura al Consiglio dei Ministri il 2 Luglio scorso, siamo perfettamente in linea con questa discutibile tradizione. Mi riferisco alle critiche contro una riforma che avrebbe il demerito di cancellare con un colpo di spugna tutte le sperimentazioni che si sono realizzate in questi anni nelle scuole facendo nascere centinaia di licei diversi, con relativi esami di stato finali.
Il nuovo regolamento segna, da questo punto di vista, un cambiamento di rotta molto importante: esisteranno quadri orari fissati a livello nazionale corrispondenti a sei licei (artistico, classico, scientifico, linguistico, scienze umane e musicale- coreutico) e “solo” sei “maturità”, ma le scuole autonome avranno la possibilità di costruire il proprio piano dell’offerta formativa con ampi margini di libertà. Su un numero medio di 27 ore settimanali nel biennio e 30 nel triennio è prevista, infatti, la possibilità di una variazione del 20% sull’orario annuale complessivo nel primo biennio e nell’ultimo anno di corso, e del 30% nel secondo biennio.
Per fare un esempio, all’interno di uno stesso Liceo Scientifico ci potrà essere una sezione con meno latino e più inglese, in un’altra si potrà cominciare lo studio della fisica dal secondo anno, in un’altra si potrà inserire lo studio di una seconda lingua straniera o di un’altra delle discipline presenti all’intero del repertorio allegato al regolamento.
L’unico vincolo generale sarà relativo al fatto che ogni singola materia presente nel quadro orario indicato a livello centrale non potrà diminuire di più del 30% nell’arco del quinquennio (art. 10 comma C).
È un principio semplice che permetterà alle scuole di valorizzare quanto di buono viene dalle sperimentazioni, le professionalità presenti nei collegi docenti e, allo stesso tempo, di fare chiarezza sul valore dei percorsi di studio proposti agli studenti. Allo Stato spetta il compito di indicare con chiarezza i risultati d’apprendimento finali e la responsabilità di verificare che tali esiti siano raggiunti, alle singole scuole, con i propri docenti, spetta il compito di individuare attraverso quali passi raggiungere quegli obiettivi.
Se lo scopo del liceo è quello di fornire allo studente «…gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro» (art. 2 comma 2), ogni scuola si dovrà chiedere come aiutare i propri alunni a raggiungere un traguardo così ambizioso.
Fissare in modo chiaro per il primo biennio, per il secondo biennio e per l’ultimo anno le conoscenze e le abilità fondamentali per ogni disciplina, indicando le competenze chiave in uscita come “risultato” di un percorso di apprendimento, di esercizio, di studio fatto durante gli anni di liceo è il lavoro fondamentale che ancora va fatto. Solo così si potrà individuare quel “core curriculum” che tutti gli studenti devono acquisire, anche se attraverso curvature e percorsi diversi, a livello nazionale.
Saper leggere e capire criticamente un testo scritto in italiano, ad esempio, è una delle competenze chiave indagate dall’indagine OCSE PISA sui quindicenni. Il fatto che tale competenza al Liceo si approfondisca attraverso lo studio ed il lavoro sulla letteratura, la filosofia, la storia, l’arte, la matematica, la fisica, la biologia, fa capire la ricchezza e la potenzialità della nostra tradizione liceale. La nozione di testo come “opera portatrice di significato” del prof. Eddo Rigotti, e l’idea di “competenza” come conoscenza sensata, “significativa”, a cui in un recente dialogo faceva riferimento il prof. Paolo Ferratini, mi sembrano offrire la direzione corretta attraverso cui coniugare tradizione ed innovazione, conoscenze e competenze, discipline e assi culturali superando il ricatto della “coperta troppo stretta” delle 27 e delle 30 ore da tirare da una parte o dall’altra, per non scontentare nessuna disciplina (cioè nessun prof ).