Potrebbe essere il 30 ottobre il giorno in cui, alle Regioni piacendo, dovrebbe partire l’iter della “riforma” dell’istruzione secondaria superiore. I nuovi quadri-orari sono già stati ampiamente diffusi. Già il dibattito, le domande, i tormentoni stanno investendo i dirigenti, i collegi dei docenti, le famiglie, i cui ragazzi devono scegliere entro il 28 febbraio 2010 gli Istituti superiori cui iscriversi. Il dato macroscopico più evidente è quello della riduzione degli indirizzi di studio e delle ore di insegnamento. I licei da 8 tornano a 6 (artistico, classico, linguistico, musicale-coreutico, scientifico, scienze umane), anche se le differenziazioni interne in sotto-indirizzi portano a 11 i diplomi specifici. Anche gli Istituti tecnici vanno verso una radicale riduzione degli indirizzi: da 39 a 11; i professionali da 27 a 6. Diminuiscono le ore di insegnamento: complessivamente si passa dal massimo di 40/36 ore al minimo di 32/27 ore, a seconda degli indirizzi. Pertanto cattedre in meno (circa 11.000/12.000 nei prossimi 4/5 anni), più ore effettive per i docenti, da 60 a 100 ore in più, finora solo pagate, ma non esercitate. Di questa riduzione non beneficiano sostanzialmente gli studenti. Anzi, nel caso del liceo artistico, ma non solo, le ore aumenteranno. La ragione è che, di qui in avanti, le ore saranno di 60 minuti, non di 50/55, come invece prevedeva l’orologio amministrativo della Circolare ministeriale n 243 del 22 settembre 1979, la cui ratio si fondava sulla necessità di comprimere le ore al solo mattino, per ovviare alla mancanza di mense e trasporti. Dentro questa stretta, inevitabilmente subiscono dei cambiamenti i piani di studio. Basterà per i nostri lettori qualche accenno a mo’ di esempio, giacché per una visione più completa possono consultare la proposta di quadri orari qui accanto. Per il Liceo classico i cambiamenti sono limitati, visto che scende da 31 ore a 27 nel ginnasio (ma due ore sono recuperabili con l’autonomia): oscillano di poco la lingua straniera, la matematica, la fisica. Il core curriculum tradizionale resta invariato. Nel Liceo scientifico la “danza delle ore” è più accentuata, a vantaggio della matematica e delle scienze naturali, ai danni del latino e filosofia.



Il latino scompare del tutto nei sotto-indirizzi scientifico-tecnologico ed economico-sociale, che recuperano il liceo tecnologico e quello economico della Moratti, senza però articolarsi in ulteriori sotto-indirizzi.

Quanto all’Istruzione tecnica, che interessa quasi 900.000 studenti (il 34%), distribuiti in 1.800 istituti, le novità risiedono non solo nella riduzione degli indirizzi e delle ore da trentasei ore a 32 settimanali, ma nel tentativo di ridefinire l’identità del settore tecnico e di quello professionale, distinto da quello dei Licei. Questa è una significativa correzione dell’impostazione della Moratti, che, sotto la pressione prevalente di Confindustria, aveva finito per liceizzare l’istruzione tecnica. Fioroni l’aveva sottratta al canale liceale, senza avere il tempo di operare sui piani di studio. Così l’autonomia delle scuole arriva fino al 30%, così si offre attraverso la costituzione di un Comitato tecnico un ambito istituzionale entro cui saldare i rapporti tra scuola, territorio e produzione; così è più forte l’aggancio al quadro europeo delle qualifiche (European Qualifications Framework).



 

Le acquisizioni essenziali di questa “riforma” sono due: un consistente risparmio che potrebbe arrivare fino a 500 milioni di euro, di cui reinvestire il 30% nel sistema educativo, a norma dell’ultima Finanziaria; un rilancio dell’Istruzione tecnica. Si tratta di un primo passo, dopo decenni di tentativi falliti e di sperimentazione anarchica. Primo passo, che, va subito aggiunto, acquista senso soltanto se ne seguano immediatamente altri, lungo la strada di una riforma radicale che riallinei il sistema educativo italiano rispetto alle necessità delle nuove generazioni e ai bisogni del sistema civile e produttivo del Paese. Che ne inverta la tendenza di fondo all’entropia. I passi successivi? Abbassare a 18/17 anni l’età di permanenza a scuola – oggi è a 19 anni – i giorni dell’anno scolastico e le ore di lezione. È la media più alta d’Europa, che però non si riflette nei risultati, che sono i più bassi, eccetto che al Nord del Paese. I nostri ragazzi continueranno ad arrivare troppo tardi ad affrontare le sfide della vita, siano esse quelle degli studi successivi o quelle del lavoro. Attualmente è la più lunga transizione alla vita attiva rispetto ai loro coetanei europei: i nostri giovani arrivano “vecchi” ai traguardi della vita. Riconoscere l’autonomia delle scuole: indicare nazionalmente e centralmente le materie essenziali del core curriculum (curriculum di cittadinanza + curriculum vocazionale), lasciare alle scuole la costruzione con le famiglie e i ragazzi dei piani di studio personalizzati. Diminuire di poco le ore, senza un corrispondente sfoltimento delle materie esterne al core curriculum, serve certamente a difendere le cattedre, ma anche, paradossalmente, a frammentare ulteriormente in coriandoli l’apprendimento di materie solo superficialmente sfiorate. E poi la valutazione esterna e una nuova politica di formazione, reclutamento e carriera dei docenti. Benché eventualmente approvate in sequenza cronologica, queste riforme possono funzionare solo circolarmente: autonomia e valutazione esterna si tengono così come una nuova classe di insegnanti è la condizione essenziale di ogni riforma possibile dei curriculum e degli ordinamenti. Alle spalle di tutto ciò sta “il terremoto antropologico sotterraneo” di questi decenni, di cui scrisse Montale – effetto dei mutamenti tecnologici e socio-produttivi – che ha fatto arretrare l’inizio dell’adolescenza agli 11/12 anni, mettendo in discussione la partizione tradizionale del ciclo secondario in scuola media e scuola superiore. Continuare a ignorarlo per cecità di apparati amministrativi, per pigrizia politico-culturale, per ostinazione sindacal-corporativa rende più fragile già il primo passo.



Le tessere del puzzle si devono necessariamente collocare secondo un prius ed un posterius, ma un nuovo disegno complessivo deve essere presente già ora.