La morte in Afghanistan dei sei paracadutisti della Folgore ha avuto ricadute anche sulla vita della scuola, in due modi diversi ed anzi opposti: da una parte ha spinto le scolaresche, anche su indicazione del ministro, a partecipare al dolore delle famiglie e della nazione con un minuto di silenzio, dall’altra ha offerto l’occasione ad alcune componenti sicuramente minoritarie del mondo scolastico di manifestare la loro contrarietà alla nostra presenza militare in quel lontano paese. Dicono infatti le cronache che in alcune realtà scolastiche l’indicazione del ministro è stata disattesa, non si sa bene se da una parte delle classi o al livello dell’intera scuola. Venuto a conoscenza della cosa, il Ministro Gelmini è molto opportunamente intervenuto a chiedere scusa per l’accaduto alle famiglie dei caduti.



L’episodio offre l’occasione per alcune considerazioni, da svolgere in parte in via ipotetica, giacché le cronache non precisano le modalità con cui la disubbidienza, tanto per darle un nome, è stata realizzata: se a classe intera, magari dopo aver dato la possibilità, a coloro tra gli allievi che lo desiderassero, di adeguarsi all’indicazione ministeriale; se al livello dell’intera scuola, nel qual caso verrebbe in primo piano il ruolo del dirigente, anche se non sempre egli ha gli strumenti idonei ad impedire l’attuazione di certe iniziative da parte del corpo docente. Sarebbe anche interessante verificare se le decisioni di disubbidire risultano compatibili con i contenuti della programmazione educativa inserita nel Piano dell’offerta formativa. Ma purtroppo non è possibile e ciò limita notevolmente l’analisi di quanto è avvenuto. Nella scuola, le cose più importanti non si vedono dall’esterno, coloro che le vivono, i docenti e gli allievi, ne sono altresì i soli testimoni, a seconda dei casi silenti o reticenti.  



Per quanto concerne le motivazioni addotte dai disubbidienti, le cronache dei giornali sono più esplicite: c’è chi contesta la legittimità giuridica e morale dell’impiego delle nostre truppe in un teatro di guerra, quantunque a fini di pace, ed anche chi gratifica i nostri soldati dell’appellativo di mercenari, e come tali non meritevoli della qualifica di eroi quando pagano l’azzardo con la vita. C’è anche chi lamenta che analoga commemorazione non sia stata promossa per le centinaia di caduti sul lavoro, obiezione, quest’ultima, che mentre sembra rendere il giusto riconoscimento ad un’altra categoria di caduti, nello stesso tempo la strumentalizza, dimenticando, tra l’altro, che anche ai caduti sul lavoro vengono di solito e generosamente indirizzati omaggi, messe solenni e applausi all’uscita dalle chiese e fin tra le navate delle cattedrali.



 

Oltre che su di un piano che possiamo dire politico ed anche ideologico, la disubbidienza all’invito del ministro si è mossa anche sul terreno della pedagogia, cercando autorevoli avalli nel sacro principio del rispetto della centralità dell’allievo e di uno dei suoi corollari, che raccomanda di non costringerlo a compiere atti della cui legittimità non sia convinto. L’invito del ministro ad osservare un minuto di silenzio, girato dall’insegnante all’allievo non convinto o dissenziente, diviene, in questa prospettiva libertaria, un atto di prevaricazione, o almeno di imposizione capace di annullarne ogni valore educativo, dal momento che dentro la scuola, si sottintende, e a ragione, tutto ciò che l’insegnante fa o propone deve avere una chiara finalizzazione educativa, pena la sua illiceità.

Sembra quasi che l’attentato di Kabul abbia prodotto anche nel bel Paese un certo numero di vittime e di eroi, da una parte gli oppressi, tranne i pochi salvati, dall’altra i disubbidienti, in nome, sembra, della libertà d’insegnamento, intesa come insindacabile diritto a disattendere l’invito del ministro a prendere parte al lutto nazionale. Senza contare gli oppressori intermedi, che sarebbero i docenti osservanti, ligi all’indicazione ministeriale. Manca l’oppressore maggiore, perché il ministro non ha imposto alcunché, ma ha solo dato un’indicazione.

La situazione è complessa, come tutte le situazioni scolastiche in cui si fronteggiano validi principi che la realtà sembra contrapporre e l’insegnante deve portare a sintesi e armonizzare. L’indicazione del ministro è legittima, come legittimo è il vaglio che il docente ne fa, in prospettiva didattica ed educativa, tenuto conto della situazione della classe e dell’età degli alunni, dei programmi e della programmazione educativa a suo tempo concordata anche coi genitori degli alunni. La libertà d’insegnamento è una risorsa per il docente desideroso di ricavare da ogni frangente della vita della classe, i frutti migliori in prospettiva formativa. Se la pratica didattica si fonda sullo scambio delle opinioni e sul dialogo, se in essa l’esercizio dell’autorità si accompagna al ragionamento, e l’ubbidienza si fonda sull’analisi delle ragioni dell’ubbidire, l’indicazione del ministro non produce disubbidienti od oppressi, ma serena e convinta partecipazione ad un fatto luttuoso che accomuna nel dolore tutta la nazione.