La vera questione morale è ancora una questione educativa. E lo si vede bene dall’ultima sentenza della Corte di Strasburgo, che elimina il crocifisso dalle aule scolastiche. Cerchiamo di capire perché.
L’uomo è mosso verso la realtà dal bisogno, perché solo dalla realtà può venirne o meno una risposta. È un movimento, questo, che definisce la struttura umana, e che si può declinare in modalità diverse (tensione, curiosità, aspettativa, desiderio, e molte altre). Riccardo ha un anno e mezzo e una casa piena di giochi, ma lui va alla ricerca di tutti i fili elettrici. Allora suo papà, che è ingegnere, porta a casa, tutto per lui, un filo elettrico con una grossa spina. Per due settimane quel filo è l’orizzonte del tripudio di Riccardo. Questo è il piacere, il fare esperienza che nella realtà c’è la risposta alla nostra ricerca. Cercare e trovare la risposta al bisogno costituiscono, nel loro nesso, il nucleo della nostra relazione col reale. Da questo nucleo e parallelamente alla crescita della persona, si sviluppano tutti gli ulteriori livelli di relazionalità, che rendono possibile la sua crescita.
Innanzi tutto la fiducia nel reale, che si esprime nelle modalità della meraviglia, dello stupore, della confidanza (parola desueta), dell’audacia, della speranza, ecc. Tutti i progetti e le proposte educative, che si sviluppano attorno al bisogno e all’esperienza della bellezza, giocano a questo livello un ruolo essenziale. Poi dalla fiducia si sviluppa la relazione positiva con quanto emerge dal reale. Gratitudine, rispetto, stima, compassione, affezione, simpatia, amicizia, amore ne sono solo alcune delle modalità. E come diceva Dante, è da una conoscenza amorosa o da un amore conoscente, che nasce una Vita Nova.
Poi dalla fiducia e dalla philia si sviluppa quel livello di relazione ulteriore col reale che è la gioia dell’acquisizione. Il riuscire nel fare ciò che si fa; il riuscire a raggiungere un obiettivo, a tagliare un traguardo, a ottenere qualcosa di insperato, questi sono tutti motivi di gioia e tutti gli approcci didattico-valutativi che aiutano la percezione di autoefficacia svolgono a questo livello un ruolo fondamentale. Non si tratta di abbassare la richiesta istruttiva, ma al contrario di alzare la capacità del docente di intervenire sulle eventuali difficoltà dello studente. La riflessione filosofica parla dell’acquisizione come del tema dell’avere, giustamente contrapposto all’essere. In un orizzonte di crescita, però, l’avere cessa di costituire il polo negativo di una diade, per diventare un livello non ancora definitivo di strutturazione umana. Dalla gioia infatti nasce il livello ulteriore di relazione col reale, che è quello della felicità per il senso delle cose. A ciò che emerge del reale deve poter essere sottesa la possibilità di un Amore vero per l’uomo, di una Verità che gli spieghi tutto, di una Giustizia che gli renda ragione di tutto; di una Bellezza non più solo estetica, ma che compendi in sé tutto l’Amore, la Verità e la Giustizia, di cui il cuore dell’uomo ha bisogno. A questo livello solo la cultura, come luogo dell’umano, può svolgere un ruolo educativo adeguato.
Tutti i livelli progressivi di relazione col reale sono poi annidati nell’ultimo, quello dove la felicità diventa perfetta, compiuta, realizzata: la beatitudine. In essa e per essa diventiamo capaci di additare (come fanno molti personaggi delle opere di Caravaggio) la Realtà, che compendia in sé tutto il cuore dell’uomo, ovvero il che cosa vale nella vita, il Chi ha valore nella vita.
Se tutti i passaggi educativi fino all’ultimo non vengono realizzati, ciò che ne emerge non è il vuoto o il nulla, ma il loro esatto opposto. Se non si fa fare esperienza di attrazione, si ottiene repulsione (dis-interesse; dis-incanto; a-patia; in-differenza, ecc.). Se non si fa fare esperienza di piacere si ottiene dis-piacere (in-sofferenza, dis-agio, mal-essere, noia, ecc.). Se non si fa fare esperienza di fiducia, si ottiene paura (smarrimento, s-fiducia, in-sicurezza, ansietà, ecc.). Se non si fa fare esperienza di philia o relazionalità positiva, si ottiene rabbia o relazionalità op-positiva (dis-affezione, dis-amore, av-versione, in-imicizia, ostilità, ecc.). Se non si fa fare esperienza di gioia, si ottiene tristezza (in-soddisfazione, s-contento, de-lusione, mal-contento, dis-illusione, rassegnazione, ecc.). Se non si fa fare esperienza di felicità, si ottiene senso di colpa (timidezza, imbarazzo, vergogna, senso di soggezione, colpa, peccato, ecc.). Colpa e peccato appartengono all’ambito della relazione, mentre il reato a quello dell’azione, che è una conseguenza della relazione, che stabiliamo col reale (precisamente a questo livello «il problema del peccato esiste, perché esiste il problema del senso della vita» come scriveva Mario Mauro nei giorni scorsi). Infine, se non si fa fare esperienza di beatitudine, si ottiene malignità (asprezza, cattiveria, malevolenza, malvagità, ecc.).
Detto altrimenti, il sentire il male in sé (malignità) annida, esattamente come fa il suo correlato positivo, tutta la relazionalità negativa, che lo precede, fino ad arrivare a dire, che ciò che nella vita vale è il male.
La competenza relazionale connessa a quest’ultimo livello di relazione costituito dalla beatitudine-malignità è la moralità naturale, che è solo un’intuizione di che cosa è bene e che cosa è male a partire dall’esperienza (positiva o negativa), che si è fatta nella vita. Se il papà di Riccardo non gli avesse portato a casa quel filo elettrico, avrebbe perso un’occasione educativa nel processo di costruzione della capacità di percepire il bene come valore e quindi e di sceglierlo e di agirlo.
Ancora più importante è il fatto che a tutti i livelli relazionali è sottesa quell’intelligenza che ci consente di cogliere il valore delle cose, e di cui il razionalismo ci ha amputati. E quando dall’intuizione naturale di ciò che è bene e ciò che è male l’intelligenza fa il passo ulteriore e si chiede: “Ma se questo è bene, allora che cos’è il bene? E se questo è male, allora che cos’è il male?”, l’intelligenza da r(el)azionale diventa razionale, consegnandoci il significato delle cose. Il nesso tra il valore e il significato delle cose, ci restituisce il loro senso. Ed è proprio nel passaggio dall’intuizione alla definizione razionale del bene e del male, nel passaggio cioè da una capacità morale naturale a una capacità morale razionale, che nascono tutti i sistemi etici. Quello cristiano, a differenza di tutti gli altri, ha la propria origine nella Rivelazione e nella portata della sua proposta unica di Verità e di Amore per l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo.
Per questo l’Europa di Strasburgo sbaglia due volte. La prima perché, pur additando le social skills (una delle tre dimensioni della capacità relazionale) tra le otto competenze chiave del curricolo dello studente al di sotto dei sedici anni, affida poi lo sviluppo di tali competenze a modelli esplicativi e applicativi unicamente psicologici e non educativi; a modelli cioè, che intervengono sulla relazionalità negativa, per contenerne e arginarne gli specifici output comportamentali (dispersione scolastica e drop-out sociale, abuso di alcool, uso di sostanze stupefacenti, violenze, ecc.). Questi modelli non hanno nel proprio orizzonte la relazionalità positiva, la sua binarietà connessa all’intelligenza, e quindi la sua capacità di sviluppare appieno tutte le potenzialità di crescita dell’uomo.
La seconda perché, crocifiggendo il Crocifisso, in realtà crocifigge gli ultimi due livelli della struttura relazionale, che abbiamo definito felicità e beatitudine, che soli fanno emergere l’uomo dall’uomo. Rifiutando Dio si dissolve l’uomo, commentava Camillo Ruini nei giorni scorsi. Infatti i livelli inferiori, in parte, li condividiamo con altri esseri viventi, ma è solo l’uomo ad avere bisogno di senso, e quindi ad attestarsi su questo livello di ricerca nel reale, trasversale a tutti gli altri. La libertà personale può giocarsi solo su una proposta di senso, non sulla sua assenza. L’assenza di proposte, oltre ad annullare la libertà come capacità umana, è il prodromo della perdita del bisogno di senso. Ed è precisamente a partire da questa perdita che l’intero processo educativo viene reso impossibile.
(Manuela Cervi)