Il lungo intervento di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera di domenica 8 novembre è tale da lasciare perplessi molti dei suoi lettori, che non dovrebbero essere pochi, considerata l’autorevolezza della firma e la diffusione del giornale. Vorrei occuparmi di alcuni dettagli di natura pedagogica.
L’articolo prende in esame una delle innovazioni promosse dal ministro Gelmini, l’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado, per ora in via sperimentale, di una nuova disciplina di studio, denominata Cittadinanza e Costituzione. Nuova nel nome, ma non nei contenuti, cha abbracciano, oltre ai temi classici della vecchia Educazione Civica (scuola media) e dell’Educazione alla Convivenza Democratica (scuola primaria), anche la Carta Costituzionale, le educazioni introdotte dalla riforma Moratti (ambientale, stradale, alla salute e così via), senza tralasciare le altre possibili declinazioni del buon comportamento e del rispetto delle regole, la cui osservanza da parte del mondo giovanile lascia sempre più a desiderare.
Oggetto dell’analisi del professor Galli della Loggia sono le istruzioni emanate dal ministro nel mese di marzo, racchiuse in un ampio documento elaborato da un apposito gruppo di lavoro coordinato dal professor Luciano Corradini. L’addebito fondamentale è quello di voler trasformare la scuola da luogo d’apprendimento, com’è stata in passato, in agenzia di socializzazione, intento testimoniato dal fatto che, diversamente dall’Educazione civica e dall’Educazione alla convivenza democratica, la nuova disciplina costituirebbe un insegnamento a sé stante, il cui voto ha lo stesso valore delle altre discipline. Detto per inciso, a voler essere precisi, i contenuti del nuovo insegnamento, secondo la legge e in base alle citate istruzioni, e per ora solo in via sperimentale, dovranno essere impartiti nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale. Ma l’obiezione merita di essere esaminata e contrastata, perché a partire da essa Galli della Loggia, di addebito in addebito, arriva a sostenere che il nuovo insegnamento altro non sarebbe che una sorta di catechismo della democrazia, in cui il dovere dell’osservanza verrebbe dogmatizzato, privato delle necessarie consapevolezze, sganciato dalle intime condivisioni che solo la cultura può conferire.
L’accusa rivolta a Luciano Corradini di delineare un’educazione sganciata dai saperi mi sembra priva di fondamento. Non risulta che il documento d’indirizzo su Cittadinanza e Costituzione disattenda l’impostazione metodologica splendidamente enunciata nei Programmi didattici del 1985, laddove era chiaramente indicato che l’Educazione alla convivenza democratica, uno dei precedenti storici e stretto parente del nuovo insegnamento, mentre aveva nella promozione di un clima sociale positivo le indispensabili curvature pratiche ed esperienziali capaci di collegare insegnamento e vita vissuta, ricavava da tutte le discipline e in particolare dalla Storia, dalla Geografia e dagli Studi sociali le necessarie basi di natura conoscitive e culturale, tanto care al professor Galli della Loggia. Il quale rischia di cadere nell’errore opposto, che è quello di fare esclusivo affidamento sulla primazia dell’istruzione, nella convinzione, non molto fondata, che l’Educazione Civica scaturisca per germinazione spontanea dai saperi, senza che sia necessario attivare e percorrere appositi itinerari formativi.
A Galli della Loggia non sarebbe gradita nemmeno questa ultima espressione, dal momento che tra le colpe di cui fa carico al suo collega Corradini c’è anche quella riguardante il linguaggio, polemicamente denominato pedagogese, evidentemente a lui non familiare, perché non gli è familiare nemmeno la Pedagogia, la quale, così come ogni altra disciplina, aggiorna e sviluppa continuamente il proprio lessico, adeguandolo ai progressi della ricerca educativa.
E, come sempre accade, le approssimazioni lessicali generano imprecisioni concettuali, come quando si confondono le finalità con gli obiettivi, e si considerano troppo ambiziose le finalità, dimenticando che esse possono esserlo in quanto mete ideali e lontane, e solo gli obiettivi sono traguardi raggiungibili e verificabili, ed altro non sono che le unità frazionarie di quel tutto che chiamiamo finalità e serve a dare ai traguardi intermedi significato e senso. Stando così le cose, risulta assolutamente ingiustificato il tono ironico con cui il professor della Loggia ci segnala che il documento corradiniano assegna all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione lo scopo di formare niente po’ po’ di meno che l’uomo nuovo. Forse avrebbe preferito che si dicesse: il fanciullo, il ragazzo, il giovane? O l’uomo vecchio? È difficile aiutare qualcuno a crescere e diventare adulto se chi anima il processo, oltre a conoscere i gradienti e le leggi della crescita, non ha un’idea chiara dello stato finale di adulto, che è l’idea di un essere umano pienamente riuscito, adeguato ai tempi, auspicabilmente in grado di migliorare il mondo, e perciò Nuovo. È forse vietato essere ottimisti? Diceva qualcuno che non esistono venti favorevoli per chi non sa dove andare, e questo è vero anche per l’educatore, non soltanto per il nocchiero. Anche in educazione è valido il principio che l’ottimismo aiuta a risolvere i problemi e a raggiungere gli obiettivi.