Il rapporto Invalsi sulle rilevazioni degli apprendimenti nella scuola primaria 2008-2009 è giunto alla pubblicazione. Già ieri su queste pagine se ne è data notizia pubblicando la sintesi del rapporto e intervistando uno dei responsabili scientifici dell’Invalsi. Numerosi sono i dati che nei prossimi mesi saranno oggetto d’esame da parte di maggioranza, opposizione, tecnici, insegnanti, istituti e scuole. Per cominciare abbiamo chiesto all’onorevole Aprea, presidente della VII Commissione della Camera (Cultura, Scienza e Istruzione), di darci la sua “prima impressione” rispetto ai dati immediatamente accessibili.
Dalla sintesi del rapporto invalsi:
In seconda elementare: nella prova di Italiano della classe seconda le risposte corrette sono state pari al 65 per cento. Nella Prova di Matematica della classe seconda le risposte corrette sono state pari al 54,9 per cento.
In quinta elementare: nella prova di Italiano della classe quinta le risposte corrette sono state pari al 62,3 per cento. Nella prova di Matematica le risposte corrette sono state pari al 57,1 per cento.
Onorevole Aprea, come commenta, a una prima lettura, i risultati della ricerca Invalsi sulla primaria?
In attesa di conoscere nel dettaglio gli esiti di quest’ultimo rapporto Invalsi sugli apprendimenti mi sento di dire che quella da noi intrapresa è la strada giusta. I risultati di cui disponiamo ci danno una netta conferma rispetto alla direzione che abbiamo imboccato, sia per quel che riguarda l’istruzione, sia per gli strumenti di valutazione di cui disponiamo.
Grazie all’ottimo lavoro dell’Invalsi riusciamo a conoscere sempre meglio la situazione educativa e quindi sempre di più la reale mappa degli apprendimenti dei nostri studenti.
Dati che sembrano rispecchiare le previsioni fornite da altri enti di ricerca, l’OCSE, ma soprattutto lo IEA Timss.
Infatti. Peraltro questi dati, incrociati appunto con quelli dei rapporti internazionali, ci danno come prima informazione il fatto che la scuola primaria regge. Regge sugli apprendimenti fondamentali in seconda e in quinta elementare, un fattore che noi avevamo previsto e la cui verifica ci conforta particolarmente, ma non possiamo ancora accontentarci.
Quali sono i maggiori motivi di preoccupazione rispetto alla pubblica istruzione?
Più che di motivi di preoccupazione preferirei parlare di priorità e di obiettivi che dobbiamo prefissarci. Innanzitutto, sebbene si noti un trend positivo, rimane forte la percentuale di insuccessi da parte degli studenti esaminati.
Com’è possibile che per gli apprendimenti fondamentali della lingua italiana e della matematica, mi riferisco in particolar modo ai test della seconda elementare e quindi ad apprendimenti piuttosto semplici, ci sia ancora una differenza rispetto al totale del 40%? Sono troppo alti gli obiettivi, sono difficili i test o sono ancora scarsi gli apprendimenti?
Questo è un argomento sul quale dovremo certamente lavorare molto. Quindi un primo obiettivo è quello di portare il risultato ancora più vicino al 100% in quegli apprendimenti che sono basilari per l’istruzione elementare.
Il rapporto sottolinea ancora una volta la grande differenza di apprendimenti e di risultati che c’è fra il nord e il sud del Paese. Anche il recupero del sud rientra fra gli obiettivi?
Certo. Emerge con chiarezza che c’è molta differenza. Ma non solo tra nord e sud. Il dato sorprendente e particolarmente fastidioso riguarda la notevole varianza di qualità degli insegnamenti anche all’interno delle stesse aree geografiche, la differenza fra una scuola e l’altra è sorprendentemente molto alta. Certo, è più alta al sud piuttosto che nel nord, però questo dato ovviamente non può essere motivo di serenità.
Ora, questo dato ci dice che dobbiamo insistere particolarmente nella valutazione e soprattutto nel far sì che la capacità di recezione e di trasparenza negli apprendimenti venga intesa come un fatto di sistema, un elemento di sistema. Gli insegnanti cioè devono preoccuparsi non solo di insegnare bene, ma anche di capire che cosa hanno imparato i ragazzi rispetto alle legittime aspettative imposte dal livello nazionale. La domanda che devono imparare a porsi è “quello che i ragazzi imparano a scuola è quello che il Paese si attende dalla frequenza della scuola per il tipo di investimento, di indicazioni nazionali e via dicendo o no?”.
Per fare questo occorre però una conoscenza ampia dei criteri di valutazione e del livello di competitività della nostra istruzione rispetto agli altri Paesi.
È per questo motivo che abbiamo bisogno di un sistema di valutazione universale, scuola per scuola. Proprio perché il campionamento dell’Invalsi, che è scientificamente provato, ci dice che questa varianza è insopportabile che c’è una distanza a volte abissale fra scuole della stessa regione, della stessa provincia o, addirittura, dello stesso comune. Una differenza che è troppo alta. Quindi, mediante una rilevazione universale, ogni scuola potrebbe svolgere questo tipo di lavoro, disporre di una pietra di paragone di specchio con la quale leggere e vedere a che punto si trova e capire qual è il percorso che deve poi eseguire.
Ci sono quindi prospettive di evoluzione anche all’interno degli strumenti di indagine nella scuola?
Guai se mancassero queste prospettive. Come dicevo prima, noi al Ministero non ci accontentiamo, sebbene i segnali siano confortanti. Andiamo avanti, la situazione è sicuramente sotto controllo, ma è inutile aggiungere che i “buchi neri” all’interno della scuola primaria, così come degli altri ambiti dell’istruzione, sono ancora moltissimi. Quindi il risultato del rapporto più che uno stimolo a incrociare le braccia è uno sprone a proseguire il nostro lavoro.