L’intervista di Francesco Alberoni a questo giornale denuncia il declino della coscienza storica delle giovani generazioni scolarizzate: niente eventi, niente date. Le cause sarebbero il marxismo e l’americanismo, che hanno messo in crisi la “nostra tradizione”. Poiché la denuncia di Alberoni, benché non nuovissima, segnala un fatto reale, vale la pena di seguire questa traccia fino in fondo. Intanto i fatti: viene insegnata solo la storia “dal Fascismo alla Resistenza”? Alberoni frequenta poco le aule delle scuole medie superiori. Perché sarebbe costretto a constatare che è l’intero ’900 che non riesce ad affiorare con la testa, se non per la punta dei capelli verso la fine dell’anno di quinta. Colpa del marxismo? In realtà i marxismi sono più d’uno. Quello italiano è figlio della scuola hegeliana dei fratelli Spaventa, di Labriola, Croce e Gentile. Figlio di Hegel pour cause: perché Marx apparteneva alla “sinistra hegeliana”, di cui ha assorbito, senza mai rinnegarlo, il paradigma dialettico, pur rimettendolo sui piedi della storia materiale. Gramsci e Togliatti hanno ricostruito la propria genealogia ideologica a partire da De Sanctis, Croce e Gentile. Si tratta dello “storicismo marxista” e come tale venne duramente criticato dagli operaisti alla Asor Rosa e alla Tronti e da una minoranza di sessantottini/settantasettini, accomunati, questi e quelli, da luddismo culturale: «il sapere borghese si abbatte e non si cambia». Forse Alberoni, che è stato rettore della Facoltà di Sociologia di Trento ai suoi albori, se ne ricorda. Il marxismo italiano ha reinterpretato la storia dell’intero Occidente europeo. Si pensi agli studi di Ambrogio Donini sulle origini del Cristianesimo. Ma proprio perciò l’ha studiata e fatta studiare nelle scuole. Spesso si è combinato con la metodologia degli Annales, centrata sulla “lunga durata” e sulla “storia evenemenziale”. Se, viceversa parliamo del “soviet marxism” – cui Marcuse ha dedicato il libro omonimo in tempi ormai lontani – o del marxismo asiatico di Mao e di Pol Pot, allora sì, quel marxismo non c’entra con la storia. Ma non c’entra neppure con il marxismo italiano. Proprio l’attenzione puntuale alla storia –culturale, in questo caso – sconsiglia di parlare di marxismo come la notte in cui tutte le vacche hanno la stella rossa marchiata sul muso. Apparteneva a quei marxismi barbarici pre-borghesi l’idea di radere al suolo la tradizione e di ripartire daccapo per costruire l’uomo nuovo.
E l’americanismo? È difficile sopravvalutare l’influenza di John Dewey nel confezionare i programmi del sistema educativo italiano. Non tutto ciò che occupa il dibattito alto dei pedagogisti filtra in basso nella scuola militante.
E allora, quali le cause? Quella culturale fondamentale è certamente il nichilismo. Partito da ristretti circoli culturali filosofici, logico-matematici, fisico-teorici, è percolato nella cultura popolare, è stato diffuso dai media, ha incrociato i fenomeni socio-culturali della globalizzazione. Uno degli esiti è che la freccia del tempo si è contorta su di sé e gira in cerchio attorno a un tempo e a un Io narcisistico. L’Io galleggia su un’immensa liquida poltiglia di eventi, facce, emozioni. Basta accendere l’apparecchio TV: il 90% della comunicazione annuncia e promette emozioni, sogni, proiezioni desideranti. E la conoscenza del mondo e di sé? E la verità? Zero.
E qui vengo al secondo ordine di cause: quelle pedagogico-didattiche. In realtà a scuola c’è un sacco di “storie”: storia, storia della letteratura, storia della filosofia, storia dell’arte ecc… Ma altre sarebbero necessarie: della scienza, del diritto, dell’economia, della religione, della matematica, della lingua. La causa del declino della coscienza storica è il fatto che le discipline vengono indebitamente staccate dalle proprie origini e dalla propria evoluzione, e sono frammentate e ipostatizzate in oggetti disincarnati. Perciò la storia che viene insegnata è solo e prevalentemente quella “evenemenziale”. La caduta del background storico di ogni disciplina e la riduzione della dimensione storica a oggetto di una singola disciplina – Storia – ha a che fare con l’enciclopedismo illuministico e con la sistemazione positivistica del sapere.
È il prodotto del modello educativo occidentale e italiano, in particolare. C’entra con la produzione di cattedre a mezzo di cattedre, che origina dall’accademia universitaria: l’iperspecializzazione del sapere astorico. C’entra l’americanismo? No. Qui si vola più basso: si tratta di moltiplicare cattedre, discipline e materie per la miglior gloria del potere accademico e sindacale. E allora, come se ne esce? Solo cinque discipline fondamentali fino a 17 anni: Storia (eventi economico-sociali e politici, filosofie, letterature, culture, religioni ecc…), Lingua italiana, Matematica, Scienze, Inglese. Due o tre discipline “vocazionali” a seconda degli indirizzi pre-professionali. E stop. Se i grandi intellettuali di questo Paese non hanno il coraggio di mettere radicalmente in discussione la “nostra tradizione” accademica e scolastica, la struttura istituzionale, amministrativa, didattica delle Università e della scuola, le loro calde lacrime sui destini delle nuove generazioni assomigliano moltissimo a quelle dei coccodrilli.