I demografi prevedono che al 2050 circa 20 milioni di abitanti in Italia su 60 milioni saranno immigrati o figli di terza generazione di immigrati. Un terzo della popolazione italiana attuale. Difficile prevederne la composizione etnica, ma certo i mussulmani potrebbero essere qualche milione. Nei confronti loro e di tutti gli immigrati si pone la questione dell’integrazione nel nostro Paese. Se il meccanismo di integrazione non va a regime, il futuro della civilizzazione italiana ed europea è a rischio grave di scontri e di declino. Perché si inneschi virtuosamente, la prima condizione è che tutti gli abitanti del Paese siano “integrati” nella civiltà, nella tradizione, nella cultura, nella storia dell’Italia. Tutti: i nativi e gli immigrati. La cultura di questo Paese è stata forgiata nei secoli dalla tradizione cristiana. Chiunque voglia capire l’Italia e divenire cittadino del nostro Paese deve essere messo nelle condizioni di conoscere la tradizione cristiana. Questo problema si pone drammaticamente e in primo luogo per i “nativi”. E questo è lo scopo dell’insegnamento della religione cattolica, istituito come obbligatorio in un contesto storico oggi del tutto cambiato ed evoluto, in base al nuovo Concordato del 1984, in facoltativo. Le percentuali di adesione restano ancora molto alte, fino al 91%, anche se la media inganna sulle classi di età – nelle superiori le cifre calano sotto il 50% – e di territorio di chi aderisce e sul trend a diminuire. Non si può non notare una contraddizione, che è nata da un compromesso tra lo Stato e la Cei.



Se l’insegnamento della religione cattolica – la storia del cristianesimo e della Chiesa, la conoscenza della Bibbia e dei Vangeli – non è più catechesi o azione pastorale, bensì formazione culturale integrale del cittadino e della persona, trasmissione di una tradizione – perciò educazione – non si vede perché possa essere ritenuta facoltativa. Essa appartiene – dovrebbe appartenere – al novero delle competenze-chiave, al core curriculum. Altra faccenda è se debba essere oggetto di una materia specifica e se, pertanto, debba essere fornita da un insegnante ad hoc.



E, in questo caso, se gli insegnanti siano preparati a insegnare una tale materia. Il compromesso è consistito nell’accettare, da parte della CEI, la facoltatività in cambio della nomina e del controllo degli insegnanti di religione, pagati dallo stato. Ma in questo compromesso è andato perso un principio decisivo: quello per cui l’insegnamento della religione cristiana in Italia è un insegnamento di cittadinanza, pertanto non facoltativo. Non essendo obbligatorio per i nativi non può esserlo neppure per gli immigrati, per i quali viceversa sarebbe, se possibile, ancora più necessario. Agli immigrati serve, in primo luogo, l’educazione alla cittadinanza italiana: qui dentro sta l’insegnamento dei fondamenti della cultura cristiana, della storia del Cristianesimo e della Chiesa.



Lo scopo non è convertire, ma educare alla storia del Paese. In secondo luogo, è bene per loro e per il Paese che li ospita che non perdano il legame con le loro radici e, nel confronto con la tradizione del Paese ospite, diventino più criticamente consapevoli della propria. Anche perché possano fare i necessari paragoni con la tradizione cristiana su questioni fondamentali quali il rapporto religione-politica-stato, le libertà della persona, la condizione della donna ecc… . Qui insorgono notevoli problemi pratici, come è già stato segnalato da Massimo Borghesi. Primo, perché come per i cattolici deve valere anche per gli islamici il criterio del carattere non catechetico e non politico dell’insegnamento della religione. Secondo, perché le correnti islamiche sono diverse e spesso reciprocamente ostili. Terzo: chi insegna, chi prepara, chi sceglie i docenti? Quarto: qualcuno ha fatto domanda di insegnamento in una struttura pubblica della religione mussulmana?

 

Ma l’esistenza di questi problemi pratici non può approdare alla negazione dei diritto dei mussulmani non solo di praticare in luoghi di culto la loro religione – la libertà di culto è l’essenza di ogni democrazia – ma anche di poter disporre, a richiesta, di un’offerta pubblica facoltativa di insegnamento della religione islamica. Pubblica, non significa decisa e organizzata a Roma dal Ministero. Significa soltanto, che sulle base di alcune regole nazionali, le singole scuole autonome possano apprestare sul territorio l’offerta di studio della religione islamica agli immigrati – e ai nativi – che ne facciano richiesta. Perché si sviluppi l’integrazione, invece del conflitto, è necessario che gli italiani nativi siano coscienti della propria tradizione e della propria storia; che gli immigrati si impadroniscano di quella tradizione e di quella storia; che in questo processo di conoscenza reciproca mettano in gioco la propria tradizione di origine. Le scuole sparse sul territorio sono un luogo privilegiato dove quel processo possa svilupparsi. A questa ipotesi non ci sono alternative. L’impero romano è caduto, alla fine, perché l’alleanza conservatrice tra l’aristocrazia senatoria pagana e quella cattolica, ostile all’arianesimo, si oppose a lungo all’integrazione dei Goti – che avevano aderito all’arianesimo – nell’Impero. Dopo essersi accampati a lungo sul limes orientale, i Goti alla fine lo attraversarono…