Annullare i propri tratti identitari per ragioni di rispetto. È l’errore in cui scivola, con frequenza preoccupante, chi riduce la laicità ad assenza di simboli, riferimenti, appartenenze.
L’ultimo episodio si registra in una scuola elementare di Cremona, dove il Natale farà posto a una meno compromettente “Festa delle luci”. Così facendo, si spiega, è fatta salva l’attenzione per gli alunni di altra fede. Scelta sbagliatissima, per più di una ragione.
Il primo, evidente paradosso è che, con la scusa di “tutelare” alcuni, si toglie qualcosa a tutti gli altri. Chi salvaguardia la sensibilità della “maggioranza”? Dove finisce il diritto di quanti crescono radicati in un Cristianesimo vivo, a veder riconosciuta, pubblicamente, la consistenza del proprio credo, che è stato ed è il terreno su cui cresce la nostra civiltà? È giusto che ci si veda negare, tra i banchi di scuola, quanto s’impara a casa dai propri padri?
Il secondo paradosso sta nel significato che si affibbia al termine “dialogo” e alla conseguenza pratica che ne deriva, cioè la rinuncia a un’identità di popolo.
La giustificazione addotta è il favorire lo scambio interculturale, la vicinanza tra i popoli, l’annullamento delle contrapposizioni religiose. Il risultato che si ottiene, però, nega in tutti i casi gli obiettivi di partenza: l’integrazione con la nostra società resta una chimera, mentre trova spazio il formarsi di nuclei sociali a sé stanti, avulsi dal contesto in cui vivono, regole comprese. Tutto ciò si trasforma in un terreno pericolosamente fertile per la criminalità organizzata.
Queste conseguenze sarebbero facilmente prevedibili: chiunque arrivi nel nostro Paese e tenti un minimo di dialogo, lo troverebbe solo nel caso in cui l’interlocutore abbia qualcosa da dirgli, da mostrargli, da condividere. Invece la civiltà occidentale, portatrice di un patrimonio di valori alto e ricchissimo, è messa ai margini da una minoranza intellettuale. È annullata da chi pensa che essere portatori di un’esperienza radicata in secoli di storia irriti la sensibilità altrui.
Non è così. I contenuti della religione cristiana, nel passato come oggi, hanno favorito, non ostacolato, la possibilità di incontro tra i popoli. Hanno generato ripresa economica, crescita culturale, sviluppo solidale, riconoscimento di diritti.
Ma non è solo questo, sebbene sia già molto. Nel suo libro intitolato “Confini”, il cardinal Camillo Ruini individua il compito della Chiesa «nell’indicare ragioni di vita prima che limiti etici; sta nel dirci non “come” vivere, ma “perché” vivere». Cioè qual è il senso del nostro stare al mondo.
Temi di portata così alta non solo possono, ma devono trovare spazio pubblico nella vita di un Paese. La vera laicità riconosce tale spazio e dove può lo favorisce, permettendo a chiunque sia ospitato di attingere al suo patrimonio di valori.
Le luci al posto del Natale? Ma no, la luce c’è già: è quella di un bimbo in carne ed ossa che si chiama Gesù.