Le riforme della scuola e dell’università che sono in cantiere richiamano direttamente o indirettamente il tema dell’autonomia, anzi sono tanto fondate su questo istituto che da esso e dalle quote con cui è distribuito nelle maglie dei nuovi ordinamenti (poche o tante che siano) dipende il giudizio complessivo sulle preannunciate novità legislative in campo formativo.
Il riassetto di tutto il settore della scuola superiore (licei, istruzione tecnica e istruzione professionale) contiene non solo richiami formali all’autonomia, ma si sostanzia della possibilità accordata alle scuole di modulare quote di autonomia o flessibilità (qui non è il caso di analizzare la diversa valenza dei termini: prendiamo le cose un po’ all’ingrosso) in modo da avere un organico docente funzionale alle esigenze dell’istituto e del territorio.
La riforma dell’università se non tratta l’autonomia nei termini di quote da assegnare (sono già previste), interloquisce con l’autonomia delle istituzioni ponendo obiettivi di “efficacia, efficienza, trasparenza e meritocrazia”.
Ma di che cosa stiamo esattamente parlando? Di quale autonomia si tratta?
Autonomia scolastica e autonomia universitaria sono entrambe figlie, nella versione più aggiornata, della Legge Bassanini del 15 marzo 1997, n. 59 (“Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”).
Scopo della legge era di riformare la pubblica amministrazione ridefinendo i rapporti tra Stato, Regioni e autonomie locali, nonché di semplificare e riorganizzare le procedure amministrative introducendo dosi di decentramento e delegificazione.
La cultura normativa propria della Bassanini è incentrata sulla logica del decentramento (sebbene modificato rispetto a quello del 1977 che aveva dato vita all’ordinamento regionale), che implica il trasferimento di alcuni poteri dal centro alla periferia. Il concetto di decentramento trascina con sé a sua volta, come in un complicato gioco di scatole cinesi, la nozione di autonomia funzionale: è l’amministrazione statale che legittima determinati enti ad esercitare funzioni di carattere generale. In questo modo, università, camere di commercio e istituzioni scolastiche (le realtà in cui si concreta l’autonomia funzionale) detengono una titolarità statutaria che le abilita ad esercitare determinate competenze sottratte agli enti locali. Enti locali e autonomie funzionali si dovrebbero affiancare e integrare all’atto della erogazione dei servizi pubblici, nell’interesse del cittadino.
L’autonomia scolastica definita in conformità a questi principi con il Dpr 8 marzo 1999 n. 275, recante il Regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, è appunto di tipo funzionale come risulta dall’art. 1, comma 1 del medesimo testo «Le istituzioni scolastiche […] interagiscono tra loro e con gli Enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione».
Ne deriva che l’autonomia scolastica è didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo (la sua sintesi è il Piano dell’offerta formativa, il Pof, che individua l’identità culturale e progettuale delle scuole comprendendo anche «le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari»).
Per quanto riguarda l’università, l’autonomia funzionale le è riconosciuta con il DM n.509/1999, che si concentra unicamente sull’autonomia didattica degli atenei. Leggi precedenti avevano già conferito all’università l’autonomia statutaria e finanziaria (L. n. 168/1989; L. n. 537/1993).
Le successive modifiche al DM 509/99 apportate dal Ministro Moratti con il DM n.270/2004 concernono sempre l’autonomia didattica degli atenei. In questa ottica, le università determinano i regolamenti didattici (cioè i corsi di laurea) mentre il Ministero ha competenza sui criteri generali stabiliti centralmente.
In entrambi i casi (scuola e università), l’autonomia funzionale non è amalgamata con l’autonomia finanziaria, anzi proprio non la prevede se intesa come possibilità per gli enti autonomi di assicurarsi proprie entrate.
L’autonomia finanziaria, si sa, non è riconosciuta agli istituti scolastici e il DM n. 21/ 2007, del Ministro Fioroni (“Determinazione dei parametri e dei criteri per le assegnazioni delle risorse finanziarie alle scuole”), che pure ha potenziato le competenze del fondo d’istituto, e si muove entro i parametri del trasferimento di risorse dal centro alla periferia.
Nello stesso modo, l’autonomia finanziaria delle università (legge del ’93) ha comportato la destinazione di finanziamenti sulla base di indicatori e parametri che esplicitano i generali obiettivi strategici fissati dal centro, mentre l’autonomia didattica ha generato una proliferazione dei corsi di laurea (facilitata del sistema dei crediti e dal 3+2).
Per correggere le storture del sistema occorre rivedere il complesso dell’autonomia delle scuole e delle università alla luce del principio di sussidiarietà (non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli) non contemplato dall’autonomia funzionale se non in senso orizzontale (attribuzione di responsabilità pubbliche alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini).
La sussidiarietà verticale (una funzione deve essere svolta dall’ente che appare più idoneo al suo svolgimento) è la chiave per la riforma dell’autonomia e il suo pieno dispiegamento.
In ambito scolastico il binomio autonomia/sussidiarietà significa: completamento della parità scolastica, nuova governance delle scuole e introduzione del consiglio di amministrazione (o di indirizzo) che estenda le proprie competenze (escluse quelle didattiche) al reperimento di risorse, alla loro gestione oculata, all’assunzione del personale della scuola.
In ambito universitario, la figura del direttore generale e quella di un consiglio di amministrazione più snello, previsti dalla riforma Gelmini, ci sembra vadano nella direzione dell’auspicata sintesi.
Non sempre rivedere l’autonomia significa minarne i fondamenti. Anzi.