L’appello lanciato dall’onorevole Luigi Berlinguer sulla collaborazione fra maggioranza e opposizione in tema di istruzione riguarda numerosi aspetti. Dalla governance delle università alla riforma dei licei. L’importante è, per l’eurodeputato, evitare un muro contro muro ideologico che comprometta le iniziative virtuose a favore dello sviluppo della ricerca e dell’innovazione del Paese.



 

Onorevole Berlinguer, lei ha lanciato un appello affinché sull’istruzione nazionale maggioranza e opposizione instaurino una virtuosa collaborazione. Qual è la sua posizione in merito alla riforma Gelmini della scuola e dell’università? In forza di quali elementi ha formulato questo suo richiamo?

Per rispondere a questa domanda devo prima fare riferimento a quelli che sono i maggiori problemi che affliggono l’istruzione italiana, in particolar modo l’università. In questo momento infatti l’università e la ricerca stanno soffrendo per via di una trasformazione che è profonda e che non tutti vivono positivamente. Le questioni principali sono tre: prima di tutto i finanziamenti, ma li lascio per ultimi nel mio discorso, poi due aspetti strutturali: come sono governate le università e la valutazione dei risultati. Diciamo che nel disegno di riforma della Gelmini ho trovato elementi importanti di cambiamento e miglioramento di questi tre nodi principali, elementi ai quali sarebbe controproducente opporsi per ragioni politiche o ideologiche. Io sono convinto che un governo ragionevole e un’opposizione ragionevole su questi temi sarebbero d’accordo.



Vogliamo cominciare parlando dell’autonomia dell’Università?

Appunto, il primo tema. Sono convinto che l’università senza autonomia non possa vivere, su questo non ci piove. Ma occorre che gli spazi concessi sulle decisioni di governance delle università siano dotati di criteri responsabilizzanti. L’autonomia diventa infatti, non per tutti ma per alcuni, occasione per approfittare della propria posizione. Di fenomeni negativi in tal senso se ne sono visti: nella spesa, nei concorsi, nella moltiplicazione delle cattedre, nei corsi decentrati o altro.

Da dove nascono simili atteggiamenti?



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Tali storture nascono dal fatto che si concepisce l’autonomia da parte di alcuni, e così è oggi nella normativa che è venuta crescendo, come il regno di coloro che sono dentro l’università, e i suoi organi come puramente rappresentativi dei diversi corpi accademici. L’università è sì dei docenti, ma è anche degli studenti, è anche della società. In questa direzione non posso che approvare la distinzione fra Senato accademico e Consiglio di Amministrazione prevista dalla riforma Gelmini. Posso aggiungere che tale iniziativa c’era nelle azioni intraprese dal centrosinistra di ieri, era anche nelle mie personali intenzioni e quindi non è appannaggio di una sola forza politica. Portarla a compimento sarà un’impresa durissima. Per questo occorre una collaborazione fra i diversi schieramenti politici. È difficile che ci riesca una sola forza politica.

 

Ci sono punti sui quali la sua visione differisce particolarmente da quella attuale del ministro Gelmini?

 

Intendiamoci, non sto dicendo che maggioranza e opposizione dovrebbero convergere su tutto il problema dell’istruzione in Italia. Dico solo che per cambiare gli organi di governo nelle università ci vuole un potere politico normativo forte perché si tratta di misure impopolari che troveranno molti dissenzienti i quali scateneranno una battaglia durissima, andranno sui giornali, diranno che si vuole cancellare l’autonomia in toto e non i suoi difetti. Sia poi chiaro che la convergenza invocata richiede soprattutto uno sforzo del governo non dell’opposizione. Il governo deve essere aperto ad una discussione preliminare con l’opposizione su questo argomento e sollecitare l’apporto dell’opposizione.

 

E per quel che riguarda la valutazione?

 

Se cercavamo un difetto l’abbiamo trovato. Penso che un limite della riforma Gelmini sia quello di delegare la moralizzazione dell’Università a una serie di strumenti centralistici ed ispettivi che rincorrono le varie magagne del sistema. Credo che sia una pia illusione. Bisogna affidarsi alla fisiologia della realtà universitaria ovvero al suo mercato interno, alla competizione fra atenei, soprattutto pubblici. In questo discorso subentra la valutazione che dovrebbe attenersi soprattutto al fatto che l’autonomia venga osservata continuamente per quanto riguarda i risultati ottenuti.  La valutazione deve essere sia interna sia esterna. Io iniziai a costituire organi esterni come l’Anvur. Ora la Gelmini lo rilancia e trovo che questo sia un processo positivo. E a quelli del centrosinistra che se ne lamentano dico: si tratta di uno strumento che avevamo concepito noi. È controproducente andare contro solo perché riproposto dal centrodestra.

 

Rimane la questione dei finanziamenti

 

Vorrei approfittarne per lanciare un altro appello. Oggi sui finanziamenti c’è una cifra che costituisce il simbolo del nostro fallimento. In Italia, meno dell’1 per cento del Pil viene speso per la ricerca. La giustificazione è la crisi. I tedeschi si trovano forse meno in crisi di noi? Non direi. Eppure Angela Merkel ha tagliato ovunque aumentando però la spesa per la ricerca. Sarkozy lo ha già fatto col credito di imposta. Gli Stati Uniti stanno puntando tutto sulla ricerca. Noi oggi siamo dietro alla Tunisia. Questa sì che è una cosa che mi fa arrossire. È vero che ci sono sprechi, ma sono una piccola cosa. Si puniscano gli sprechi ma non si taglino i fondi laddove servono. Fino a pochi anni fa l’Italia ricopriva posizioni importanti nella ricerca internazionale. Mi auguro che presto torni ai livelli di un tempo.

 

Passiamo a un altro capitolo della nostra istruzione, i nuovi licei. Molti lamentano una diminuzione dell’orario alla quale non corrisponde una diminuzione degli apprendimenti, in particolar modo il core curriculum rimane sostanzialmente generico e poco variato, lei è d’accordo?

 

 

In effetti per il secondo ciclo non sono uscite ancora indicazioni curriculari chiare. Tutto questo movimento rappresenta, è vero, qualche dinamicità ma anche qualche malessere. Si è partiti con il piede sbagliato. Si è guardato in primo luogo al bisogno di effettuare tagli e solamente in un secondo momento si è pensato a reinserire qualche riordino all’interno della scuola. Il problema della riduzione dei finanziamenti inoltre non solo è visto come riduzione di risorse ma è considerato anche come la sottovalutazione del valore della scuola e di chi ci opera. In questo il Governo ha sbagliato totalmente a comunicare il messaggio della propria riforma che qualche elemento positivo lo contiene.

 

Al di là del problema finanziario in cosa vede consistere il maggior problema dell’istruzione secondaria oggi?

 

Direi che fino ad ora, noi tutti, tutti i governi succedutisi, abbiamo realizzato troppe riforme di struttura e poche di contenuto. Il bisogno delle scuole consiste principalmente in una revisione curriculare profonda perché i saperi, e il modo soprattutto con cui vengono trasmessi, sono invecchiati. Oggi la cultura moderna e l’incedere del progresso scientifico fa sì che il 70% degli apprendimenti dei ragazzi avvenga di fatto lontano dalla scuola. Questo significa che la scuola non risponde più alle esigenze culturali attuali.

 

La riforma Gelmini sembra incidere poco o nulla sull’attuale situazione degli istituti paritari, da lei peraltro introdotti a pieno titolo nel sistema scolastico nazionale. È d’accordo con chi si lamenta di una mancata attenzione da parte dello Stato verso le scuole paritarie?

 

Sono del parere che il sistema scolastico debba essere unitario e che la funzione educativa è pubblica, chiunque la eserciti, anche le scuole paritarie. Ma i governi e gli apparati ministeriali non hanno attuato per nulla quella che è stata la mia azione in tal senso. Né i governi di centrodestra, che forse non hanno la cultura per attuarla fino in fondo, né quelli di centrosinistra, dove prevale la tesi che ciò che è privato è cattolico e quindi non va bene a prescindere. La priorità della natura pubblica dell’insegnamento e anche il bisogno costituzionale che lo stato assicuri scuole pubbliche non si mette in discussione, ma è anche necessario che il processo di rinnovamento di cui parlavo prima comprenda il complesso della scuola sia pubblica sia privata. La Costituzione offre delle soluzioni in questa direzione, ma non nel modo in cui è stata interpretata fino ad adesso.