La bagarre sul maestro unico si è ormai conclusa. Dopo mesi animati da manifestazioni di dubbio gusto, con maestre vestite a lutto e bambini coinvolti nelle “cose dei grandi”, ora il discorso sembra essere archiviato: con buone pace di tutti, il modulo è stato abolito, e le compresenze pure.

Adesso il dibattito si è spostato (finalmente, verrebbe da dire) dalla scuola primaria a quella secondaria. Prima della pausa natalizia, infatti, il consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento relativo al riordino delle superiori. Ma non per l’anno prossimo: il tutto è stato rinviato all’anno successivo (autunno 2010), per non costringere le scuole ad affrontare cambiamenti in tempi stretti, e per aprire un confronto con il mondo della scuola al fine di calibrare al meglio le scelte.



Il problema è capire se questo dibattito-confronto sia iniziato davvero. Perché il tempo vola, e un rinvio si giustifica solo se lo si fa fruttare al meglio. Da subito.

Mariastella Gelmini ne è convinta: il confronto con la scuola vera c’è, lo si sta portando avanti con determinazione, e condurrà agli esiti sperati in termini di riforma e ammodernamento della scuola.



Ministro, dunque il rinvio non è sinonimo di perdita di tempo?

Stiamo esattamente lavorando per fare in modo che non sia così. Abbiamo avviato lo studio dei regolamenti di riforma della scuola secondaria sotto tutti i punti di vista. Innanzitutto capitalizzando l’esperienza della Commissione De Toni, con tutto il lavoro fatto sull’istruzione tecnica, che da decenni attende di essere riformata. E abbiamo deciso di seguire la strada maestra in questi casi: partire dall’azione delle scuole. Ecco perché abbiamo preso contatto con alcune regioni, in particolare la Lombardia e il Veneto, che sono disponibili ad approvare alcune sperimentazioni, in attesa dell’entrata in vigore della riforma.



Il punto centrale di questa riforma è dunque il rilancio dell’istruzione tecnica?

Non solo: stiamo ragionando con le Regioni anche sull’aspetto dell’istruzione professionale, che ovviamente ha molti punti di contatto con l’istruzione tecnica. Riteniamo infatti che il paese debba puntare sempre di più sulla riqualificazione di questo segmento della formazione, proprio perché i numeri ci dicono che abbiamo una carenza di professionalità e di abilità tecniche, a fronte di molti ragazzi che non si laureano e che purtroppo non riescono a trovare lavoro. Quindi il puntare sull’istruzione tecnica e professionale ha proprio questo significato: aprire la scuola all’impresa e al mondo del lavoro, e garantire una possibilità occupazionale per i giovani.

E per quanto riguarda i licei?

Sulla riforma dei licei abbiamo ripreso quanto fatto dal ministro Moratti, confermando le importanti novità sul piano del liceo delle scienze umane, del liceo artistico con nuovi indirizzi, del liceo coreutico. Dunque stiamo lavorando su una riforma di carattere complessivo, e i diversi tavoli tecnici del ministero sono impegnati su tutti i fronti. Quello a cui puntiamo è una riforma organica della scuola secondaria. Ma non si tratta solo di riorganizzare l’assetto generale. Altri elementi qualificanti del nostro progetto sono, ad esempio, il fatto di puntare molto sullo studio delle lingue straniere, addirittura dando la possibilità per l’ultimo anno delle superiori che una materia venga interamente insegnata in lingua; e poi rilanciare l’innovazione tecnologica, con laboratori tecnici adeguati, creando così una scuola che si apre al futuro e all’utilizzo e all’impiego delle nuove tecnologie.

Al di là di quelle che sono le indicazioni generali del ministero, da più parti si chiede però che la scuola possa essere responsabilizzata e valutata per le scelte che autonomamente fa, se le può fare: da questo punto di vista, come valorizzerete autonomia e parità scolastica?

L’autonomia delle scuole andrà declinata sempre di più in concreto, e dovrà andare di pari passo con assunzione di responsabilità a tutti i livelli, in capo ai dirigenti scolastici e in capo alle singole scuole. Da questo punto di vista è bene parlare semplicemente di “scuole”, senza distinzione alcuna: bisogna infatti puntare ad alzare gli standard dei livelli qualitativi indifferentemente in tutto il sistema, sia nell’ambito delle scuole statali che nell’ambito di quelle paritarie. Per ottenere questo non possiamo discutere la questione in termini teorici, ma dobbiamo imparare dagli esempi migliori, che devono appunto – è il proprio il caso di dirlo – fare scuola.

Puntare sulle “good practices”…

L’aspetto essenziale, a mio avviso, è esattamente questo: imparare dagli esempi più positivi. Nelle scuole paritarie, ad esempio, ce ne sono tanti, e noi ci impegneremo per fare in modo di divulgare queste esperienze, perché non rimangano situazioni isolate ma divengano un patrimonio comune.

Per valorizzare l’attività dei singoli istituti bisogna anche permettere loro di avere una vera governance. Se ne è parlato di recente, e lei ha espresso un giudizio positivo per la proposta di un “Consiglio di indirizzo”, anziché Consiglio di Amministrazione. Perché?

Ritengo che sia giusto parlare di Consiglio di indirizzo, perché non si deve evocare nessuna volontà di privatizzazione delle scuole, che non rientra assolutamente nelle intenzioni del ministero. Si tratta semplicemente di aprire gli istituti al territorio, di far entrare nella gestione strategica delle scuole anche le associazioni di categoria, il mondo produttivo – soprattutto per quanto riguarda l’istruzione tecnica – e di fare così in modo che la scuola si arricchisca nel rapporto con il territorio e viceversa.

(Rossano Salini)