È cambiato il nome, sono cambiate le riforme, ma lei rimane sempre uguale a se stessa. Lei è la (ex) scuola media (e il nome è un programma: “media” rispetto a quali estremità?).

Eppure dentro e intorno a lei alcune cose sono mutate ma i legislatori e i pedagogisti di stato non colgono.

Nel lontano 1962 la scuola media unica aveva come finalità quella di estendere a tutti, proprio a tutti, un sapere di base che fosse dilatato rispetto ai saperi ‘elementari’ della attuale scuola primaria. E ciò avveniva grazie ad una ripresa a cerchi allargati dei ‘saperi’ proposti dalla scuola elementare. (A proposito: ‘elementare’ equivale a ‘semplice’ o banale?).



Oggi la scuola media non dovrebbe più svolgere questa funzione, altro è il suo compito educativo e culturale: consolidare l’identità degli alunni, articolare gli apprendimenti in costrutti logici e cognitivi, offrire a tutti la conquista di un metodo di studio (meglio di apprendimento) personale. Ma questi obiettivi non si possono raggiungere senza un previo mutamento del suo assetto organizzativo e didattico. Come il pendolo di Foucault, si oscilla tra un ingrandimento del lavoro fatto alla scuola elementare e tra una timida e impacciata emulazione della scuola superiore.



La scuola media ad oggi sembra il secondogenito di tre fratelli, che viene soffocato nella sua crescita dal più piccolo e dal più grande degli stessi fratelli. Le riforme hanno apportato cambiamenti a contenuti ed abilità da far apprendere e sviluppare (i curricoli), al monte ore destinato alle varie discipline, al monte ore globale (a volte aggiungendo ingredienti ‘disciplinari’ al minestrone, che sempre minestrone rimane). Solo la Legge 30 del 2000 aveva tentato di cancellare il segmento “media” per trasformare il settennio 6-12 anni in “scuola di base”, con finalità ben dichiarate e graduate in base all’età degli alunni, non al segmento di scuola. (Si rilegga l’interessante articolo 3 della legge 30/2000). Ma la legge venne abrogata tout court e si ritornò alla formula 5+3, fino al 5+3+2 della “riforma” Fioroni.



Intanto da quindici anni prolificano gli Istituti Comprensivi che, ahinoi, affiancano due ordini di scuola tra i quali spesso non c’è dialogo. Ci sono, è vero, esempi significativi di costruzione di una scuola “comprensiva”, ma sono esempi, non la norma. (Sull’evoluzione dei comprensivi si legge nell’interessante analisi storica di Giancarlo Cerini, apparsa su Edscuola.it).

Le nuove azioni legislative fanno dubitare che ci sia consapevolezza della necessità di una ridefinizione della scuola media. L’operazione del dimensionamento ed il regolamento, ancora in bozza, recante “Revisione dell’assetto ordina mentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” sembrano non spostare di una virgola il problema ormai urgente. E’come avere nelle propria casa un locale adibito a salotto ma che in realtà serve come luogo di passaggio tra il tinello e il salone “buono”. Non ha più funzione di salotto, si trasforma in corridoio. Si vuole avere il coraggio di cambiare nome, funzione, mobili e suppellettili ad un salotto inutile per trasformarlo in un luogo diverso con una propria fisionomia dichiarata e funzionale alla fruizione piacevole e confortevole della casa?

Fuor di metafora. La scuola media è un ‘luogo’ inutile nel percorso di istruzione ed educazione degli alunni? Se così, come si può trasformarlo in un ambito educativo, magari togliendo le pareti divisorie tra l’ordine di scuola che lo precede e/o che lo segue?