A proposito del Regolamento sulla Valutazione è forse opportuno fare un ‘rewind’ sull’intero documento ed iniziare dal primo articolo. Se è vero, come lo è, che si può leggere l’articolato individuando delle stratificazioni storiche della tematica della valutazione, l’articolo 1 avente come oggetto “Finalità e contenuti del Regolamento” pone l’accento sul significato di valutazione da cui prendono senso le indicazioni ministeriali relative a modalità e criteri operativi delle azioni valutative. La scuola dovrebbe desumere da questo articolo gli occhiali con le giuste diottrie per la lettura di tutto il documento, nonché conferme di corrette azioni valutative in atto da tempo in alcune scuole. Ma: repetita iuvant!



L’art. 1 indica dei punti ineludibili per l’attivazione di una valutazione autentica ed efficace. Vediamo nello specifico.

Si precisa che la valutazione ha “prevalentemente finalità formativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo di ciascun alunno” (comma 3). Una sottolineatura importante che concepisce l’obiettivo della valutazione non più come ‘controllo’ sugli alunni ma come un’intenzionalità propositiva di ‘sviluppo’ degli alunni stessi negli impegni di apprendimento e di crescita educativa. In tal senso il voto espresso in decimi non va considerato una fotografia statica eseguita da un ‘controllore’ dei saperi e delle abilità di un alunno, ma un fermo immagine provvisorio di una sequenza in divenire. Ciò comporta che il docente non assurga solo a misuratore dello sviluppo dell’alunno, ma vesta l’abito di promotore ed incrementatore dello sviluppo e della maturazione dell’alunno.



Il comma 2 fa trapelare tra le righe una valenza importante che la valutazione porta con sé, valenza riferita alla scuola stessa: la valutazione serve per verificare l’efficacia dell’azione didattica ed educativa messa in atto dalla scuola. La scuola si guarda allo specchio. Sia pur in nuce qui si apre il discorso relativo all’autovalutazione di istituto, a cui però si deve aggiungere l’utilità/necessità di ricevere dall’esterno una valutazione standardizzata come feedback ‘oggettivo’ del proprio operato (valutazione esterna).

Successivamente si puntualizza la stretta correlazione tra programmazione, obiettivi di apprendimento e valutazione, ponendo l’accento sulla valutazione dei processi prima ancora che dei prodotti (comma 6). Nello stesso comma si rilevano indicazioni di tipo metodologico (peraltro già presenti nelle Indicazioni dell’era Fioroni al paragrafo “ L’ambiente di apprendimento”), contemporaneamente ad una sottolineatura relativa a processi di autovalutazione dei comportamenti e dei percorsi di apprendimento da parte degli alunni. Peccato non si faccia menzione del portfolio, strumento rigettato dalla scuola e da una certa intellighenzia pedagogica, più per presa di posizione ideologica che attraverso argomentazioni che dimostrassero l’inutilità e/o l’impraticabilità di uno strumento prezioso per una valutazione orientativa.



In conclusione si suggerisce (comma 8) l’estensione dell’espressione della valutazione in decimi anche alla pratica quotidiana. Questo punto merita una precisazione. A tale affermazione sembra sia sottesa una confusione tra termini che a volte vengono usati come sinonimi: esercitazione, verifica, valutazione. Ora, l’esercitazione (gli esercizi quotidiani proposti in classe o per compito a casa) è un sostegno per consolidare un apprendimento e non andrebbe misurata, punta al recupero, al consolidamento e dovrebbe essere valutata con un giudizio verbale motivato. Relativamente alla verifica, che è una misurazione, l’accertamento del conseguimento o meno degli obiettivi, il cui risultato può essere espresso in termini numerici, il problema che la scuola incontra è l’individuazione di strumenti adeguati e familiari agli alunni. Come ebbe ad affermare Visalberghi in tempi non sospetti l’utilizzo di un determinato strumento di verifica è un momento di misurazione, che è però preceduto da una fase di valutazione (quale prova utilizzare, a quale scopo,come costruirla). Di questo in tutto il Regolamento non si fa cenno. È invece una questione cruciale, anche a fronte della prassi ormai ordinaria della ‘proposta’ alle scuole da parte dell’INVALSI di prove standardizzate (di italiano e matematica) alla fine del primo ciclo di istruzione, gli esiti delle quali dovrebbero fare ‘media’ nella misura del 15% nella valutazione finale dell’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione.

Con questi punti di riferimento il Regolamento ha l’ambizione di superare il carattere di documento meramente ‘tecnico’, per assumere la valenza di stimolo alla riflessione per una risignificazione dei processi valutativi nella scuola. È, in realtà, un’ambizione non confermata dalla lettura dei successivi articoli del Regolamento stesso i quali, a fronte di buone intenzioni, si risolvono in indicazioni operative non sempre coerenti. Infatti in alcuni punti smentiscono le finalità espresse in apertura del documento il quale, nel suo insieme, sembra non tradurre correttamente le prassi eccellenti agite nelle scuole e le istanze illustrate nella più che trentennale letteratura relativa alla valutazione (a partire dalla legge 517/1977), prassi ed istanze che sembra si siano volute richiamare nell’art. 1.

Ancora una volta un pasticciaccio all’italiana o un’operazione gattopardesca?